Empire of Light è ambientato tra 1980 e 1981 in una cittadina sulla costa meridionale dell’Inghilterra nella contea del Kent. L’Empire è un maestoso cinema in cui lavora Hilary, la responsabile delle sale, tornata al suo incarico dopo un periodo tormentato a causa del suo bipolarismo. È apprezzata dai colleghi, tra cui il proiezionista Norman, ma deve sottostare alle attenzioni sessuali del direttore Ellis che si approfitta della sua debolezza. La sua vita sembra svoltare quando al cinema inizia a lavorare Stephen, un giovane di colore con il quale inizia una storia sentimentale intensa. Le cose, però, non vanno come desiderato e per Hilary tornano momenti cupi. Intanto, nell’Inghilterra del governo Thatcher, si rinforzano tensioni e razzismo…
Sam Mendes, regista premio Oscar e autore di film quali American Beauty, Era mio padre, Revolutionary Road, Skyfall e Spectre, con Empire of Light realizza un film in cui si intrecciano amore, malattia, tensioni sociali, passione per il cinema, nostalgia. Il ruolo centrale è quello di Hilary, cui dà volto una sempre brava Olivia Colman; un personaggio che ha alcuni tratti biografici in quanto anche la madre di Mendes soffriva di bipolarismo. Noi spettatori soffriamo per le evoluzioni umorali e comportamentali di questa donna che, una volta innamoratasi di Stephen (Michael Ward, visto nella serie Toy Boy), decide di non prendere più i medicinali, decisione che la riporta negli abissi mentali cui solo un nuovo ricovero può portare rimedio. Empire of Light è anche la storia di un amore impossibile tra due persone non solo molto distanti per età ma anche dal colore della pelle diverso in un’Inghilterra attraversata da rigurgiti razzisti; in una scena molto forte, Stephen è picchiato a sangue dentro al cinema proprio da una banda di skinheads.
L’ambientazione a inizio anni 80 ci porta agli anni della formazione cinematografica di Mendes, nato nel 1965. All’Empire si proiettano infatti The Blues Brothers, All that Jazz – Lo spettacolo comincia, Orizzonti di gloria e Oltre il giardino; tutti film che probabilmente lo hanno appassionato da adolescente. Nei confronti del grande schermo il regista fa scattare l’operazione nostalgia per un mondo in difficoltà (l’Empire ha dovuto chiudere due sale per mancanza di pubblico probabilmente) fatto di gesti e rituali ormai perduti, come quelli compiuti quotidianamente dal proiezionista Norman (un grande Toby Jones) sempre alle prese con bobine, proiettori e pellicole. Ed è proprio davanti alla visione solitaria di Oltre il giardino che Hilary, tornata al lavoro dopo il ricovero, finalmente riesce a rilassarsi e forse per un attimo a riappacificarsi. Ecco, quindi, che il cinema diventa quasi strumento di cura anche dei traumi e dei turbamenti più forti; sarebbe stato quello il finale ideale del film, mentre seguono dieci minuti un po’ ridondanti. Brava, come dicevamo Olivia Colman; le scene clou in cui davanti a tutti denuncia pubblicamente il laido Ellis (Colin Firth, in un ruolo comunque minore) per essersi approfittata sessualmente di lei e in cui la vediamo, ormai fuori controllo, attendere il ricovero coatto in casa, sono da applausi. Il problema è che il suo personaggio offusca troppo gli altri che, Toby Jones a parte, a nostro avviso non riescono a farsi notare. Michael Ward, ad esempio, è sicuramente promettente ma ancora un po’ acerbo.
Sono tanti, comunque, gli spunti di interesse di Empire of Light. Il limite, casomai è che il film sembra troppo studiato a tavolino. La messa in scena e la fotografia, così come le musiche, sono perfette ma alla pellicola, forse troppo patinata, manca quello slancio e quel coraggio che avrebbero potuto renderla ancora più forte mentre la trama è abbastanza prevedibile.
Stefano Radice
Clicca qui per rimanere aggiornato sulle nuove uscite al cinema
Clicca qui per iscriverti alla newsletter di Sentieri del cinema