Primi del ‘900. L’esploratore Theo, molto malato, chiede aiuto allo sciamano Karamakate che lo deve portare lungo i fiumi dell’Amazzonia alla ricerca della pianta curativa Yakruna. Molti anni dopo sarà il botanico americano Evan a chiedergli aiuto per un altro viaggio…
È un grande omaggio all’Amazzonia, ai suoi misteri, alle sue popolazioni sterminate in nome della “civilizzazione” quello che il regista colombiano Ciro Guerra ha realizzato con El abrazo de la serpiente. Il film racconta due viaggi lungo i fiumi della foresta più estesa del mondo: entrambi hanno per protagonista lo sciamano Karamakate che vive da solo in una capanna dopo che la sua tribù è stata annientata dai cercatori di caucciù. Nel primo viaggio accompagna il ricercatore tedesco Theo molto malato, e il suo aiutante Manduca, alla ricerca della pianta curativa dei suoi avi denominata Yakruna. Nel secondo, avvenuto diversi anni dopo, fa da guida al botanico americano Evan che vuole ripercorre le tappe del viaggio di Theo. Karamakate mette a disposizione le sue conoscenze per due ragioni ben distinte: nel primo viaggio spera di ritrovare ancora in vita alcuni membri della sua tribù; nel secondo, il viaggio è nella sua memoria alla ricerca di sé stesso.
Basato sui diari di due ricercatori realmente esistiti che hanno esplorato l’Amazzonia nella prima parte del ‘900, Theodor Koch-Grunberg e Richard Evans, il film ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra i quali il premio alla Quinzaine di Cannes del 2015 e una nomination agli Oscar come miglior film straniero. Nella realizzazione di questo lungometraggio, girato proprio in Amazzonia, Ciro Guerra ha optato per il bianco e nero, scelta che gli ha permesso di evitare “l’effetto documentario” che il colore avrebbe dato al film e che porta lo spettatore a immergersi nel mistero senza tempo dell’Amazzonia e delle sue popolazioni. In alcune scene c’è quasi un effetto fotografico che ricorda alcuni scatti di un artista come Saramago che l’Amazzonia l’ha conosciuta nel profondo. I viaggi delle due spedizioni sono caratterizzate da incontri con tribù indigene e non mancano denunce contro l’avidità dei colonizzatori che hanno rovinato un ecosistema perfetto. Ma c’è anche una polemica contro un certo tipo di attività missionaria nelle figure di un prete violento contro i bambini indigeni di una missione e nell’incontro con un santone che si crede la reincarnazione di Gesù, venuto a salvare gli Indios locali. Il serpente del titolo è l’anaconda che, nella tradizione delle tribù indigene, ha portato la vita sulla terra. El abrazo de la serpiente è una proposta cinematografica assolutamente alternativa destinata, però, a un pubblico di nicchia. Complimenti a Movies Inspired che lo ha acquistato per l’Italia, portando sul grande schermo un film che altrimenti sarebbe impossibile vedere.
Stefano Radice