Billy e Wyatt “Capitan America” sono due hippies di Los Angeles negli Usa di fine anni 60 che, con i soldi incassati dalla vendita di una partita di cocaina, decidono di partire a bordo delle loro Harley Davidson per un viaggio nelle strade del Sud degli Stati Uniti, da Los Angeles a New Orleans. Durante il percorso incontrano diverse persone con cui condividono il viaggio ed esperienze di diverso tipo, fino ad arrivare all’agognata meta…
Oltre ad esserne i protagonisti, Dennis Hopper (Billy) e Peter Fonda (Wyatt) sono anche gli sceneggiatori di questo film, diventato l’emblema della controcultura americana di fine anni 60. Inoltre Hopper ne è anche il regista, a dimostrazione del coinvolgimento totale nel progetto. Easy Rider va calato interamente nel suo periodo storico in cui è diventato inevitabilmente il simbolo di tutti coloro che si opponevano ai modelli sociali fino ad allora giudicati intoccabili e che sognavano una vita più libera, lontano dagli incubi della guerra nel Vietnam. Con Easy Rider, Hopper e Fonda hanno voluto rileggere il genere western, rompendo con la tradizione; lo capiamo, ad esempio, dai nomi dei due protagonisti (Billy evoca il leggendario bandito Billy The Kid, e Wyatt l’altrettanto noto sceriffo Wyatt Earp). C’è il tema del viaggio, non più da Est a Ovest ma, al contrario, da Los Angeles a New Orleans, perché non c’è più una frontiera da conquistare. I cavalli, invece, sono sostituiti dalle leggendarie Harley Davidson, diventate un mito. E poi ci sono gli spazi, il deserto, l’assenza di confini.
Nel loro viaggio, Billy e Wyatt incontrano discendenti dei nativi americani, cowboy che vivono in moderne fattorie, comunità hippy ma anche persone diffidenti e piene di pregiudizi nei loro confronti, rappresentanti di un’America chiusa e conservatrice. Durante una notte passata in cella conoscono l’avvocato ubriacone George Hanson (notevole interpretazione di Jack Nicholson) che si unisce al loro viaggio e che recita la frase simbolo del film: «Tutti parlano di libertà individuale ma quando vedono un uomo libero, hanno paura». Una sintesi efficace per una pellicola diventata fin da subito il capostipite di tutti i road movie e indicata come uno dei film più importanti della cosiddetta Nuova Hollywood, il movimento cinematografico americano che si allontanò dai modelli degli studios per intraprendere strade indipendenti con storie che non avevano paura di raccontare temi scomodi (droga, sesso, solitudine, violenza).
Costato solo 400mila dollari, ne incassò ben 60 milioni: un successo strabiliante ottenuto dopo la vittoria del film al Festival di Cannes che dimostrò come il film seppe interpretare i gusti del pubblico, soprattutto dei giovani. Certo, se ci astraiamo dal contesto storico, vediamo che Easy Rider è un film con molti problemi. Oggi può risultare noioso: non ha una vera e propria sceneggiatura, a tratti sembra tutto frutto di improvvisazione e il montaggio lascia a desiderare (in postproduzione il film venne accorciato di molto per renderlo più commerciale). La lunga sequenza di Billy e Wyatt che, insieme a due prostitute, ballano sotto gli effetti di droghe in un cimitero può risultare fastidiosa ma il finale tragico, in cui due spari mettono fine alla cavalcata liberatoria e libertaria dei due protagonisti e, simbolicamente, a tutto un periodo, rimane ancora oggi molto efficace.
Stefano Radice