Stavolta Steven Spielberg, qui nelle vesti di produttore esecutivo e di autore del concept (l’idea alla base del soggetto vero e proprio), ha cercato di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Dopo aver affidato la sceneggiatura a quattro autori semiesordienti, ha radunato la squadretta di Disturbia con cui aveva sbancato i botteghini, richiamando cioè il regista D.J. Caruso e il protagonista Shia La Beouf (assurto agli onori della ribalta – quest’ultimo – nel frattempo, grazie a Transformers e al quarto Indiana Jones). Il risultato è uno di quegli agitati film d’azione ad alto tasso di tecnologia e a basso grado di verosimiglianza, in cui il divertimento sta più che altro nel contare i film precedenti dai quali hanno copiato gli sceneggiatori (gioco che tra un po’ faremo). Non che non si resti avvinti, in alcuni passaggi, dalla vicenda dei protagonisti (un ragazzo e una giovanissima madre di famiglia a cui una misteriosa voce telefonica impartisce ordini dietro ricatto facendogli compiere imprese ai confini della realtà) ma resta davvero poco dopo una proiezione che lascia intontiti, certi di non voler ripetere l’esperienza, e con la sensazione di essere stati presi in giro per le troppe inverosimiglianze. L’assunto di base, che un sistema di protezione governativo possa – per troppo zelo – minacciare la sicurezza della nazione, è un’idea già sfruttata fin troppe volte, e ci voleva più che un montaggio forsennato per colmare le lacune della storia. La mancanza più evidente del film – che resta comunque un divertimento innocuo e scacciapensieri, ideale per trangugiare popcorn il sabato sera – è casomai quella di non aver voluto dare una parvenza di tridimensionalità ai personaggi, per la cui sorte alla fine non si pena più di tanto. Il suo contributo più significativo invece potrebbe essere quello di generare per Facebook le stesse perplessità che suscitò Psycho per la cabina doccia e Lo squalo per l’acqua del mare. Capiamo perché, anche elencando i film di cui questo è debitore.,Bruciato sul tempo da Wall-E nel citare 2001-Odissea nello spazio (alcune scene sono uguali!), Eagle Eye si accoda a Die Hard – Vivere o morire, nel presentare un incubo legato al terrorismo informatico, e riprende le riflessioni della letteratura di Michael Crichton sulle possibili derive del progresso tecnologico (messe alla prova soprattutto nel film Il mondo dei robot e nel romanzo "Preda"). Nel bignami spionistico – fantascientifico c’è spazio per richiami a Wargames (seminale, da questo punto di vista), Nemico pubblico (di cui esaspera il panico per il controllo totale, nel denunciare le ingerenze del governo nella vita privata dei cittadini), Punto di non ritorno (nella resa visiva della misteriosa “stanza dei bottoni”), e non si può non rivolgere un deferente pensiero a Matrix (soprattutto nel sistema di “reclutamento” del protagonista nella sua missione), di cui – se non ci fosse il lieto fine – potrebbe essere un perfetto prequel. L’immancabile riferimento ad Hitchcock viene stavolta da L’uomo che sapeva troppo e dalla celebre scena dei piatti durante il concerto alla Royal Albert Hall, mentre la scena più divertente è quella di un inseguimento tra i nastri trasportatori del deposito bagagli di un aeroporto (in qualche modo già vista, anche quella, in Toy Story 2). Due note sugli attori: Shia La Beouf è un giovane che sta crescendo e che ha bisogno di continuare a farlo; Michelle Monaghan fa intuire grosse potenzialità di attrice drammatica, finora esplorate solo in Gone Baby Gone, che potrebbero in futuro regalarle soddisfazioni importanti. In bocca al lupo a entrambi.,Raffaele Chiarulli

Eagle Eye
La vita del ventitreenne Jerry Shaw, tormentato giramondo approdato dietro al bancone di una fotocopisteria, viene sconvolta prima dalla morte del gemello, soldato dell’aeronautica perito in uno strano incidente, poi dal coinvolgimento in un intrigo spionistico dai risvolti inquietanti.