Val (Regina Casé) da anni lavora e risiede presso la ricca coppia Carlos e Barbara, e ne ha praticamente cresciuto il figlio Fabinho, che la considera più della vera madre. Intanto sua figlia Jessica è cresciuta lontano, col padre da cui Val è separata. La donna col suo umile lavoro ha costantemente mantenuto la figlia, ma non la vede da più di dieci anni. Il delicato equilibrio della famiglia (ricca, ma con legami assai fragili) viene scosso quando la diciassettenne Jessica viene a vivere con la madre, per poter studiare per l’esame di ammissione all’università. Val accoglie la figlia con gioia e trepidazione, ma viene mortificata quando Jessica si mostra insofferente alle gerarchie della casa: invece di accontentarsi di un materasso per terra nella minuscola stanzetta della madre, chiede di poter dormire nella lussuosa stanza degli ospiti, si sente alla pari dei padroni di casa, dimostra sicurezza e determinazione. Jessica è bella, intelligente e curiosa, e ben presto affascina sia il coetaneo Fabinho, un ragazzo timido e insicuro, che il padre Carlos, un uomo annoiato che vive di rendita, in contrasto con l’ambiziosa moglie, una donna attenta allo status sociale e che guarda con sospetto alla giovane Jessica. Val è scandalizzata dal comportamento della figlia, ben sapendo che le cortesi offerte dei padroni di casa si basano sul presupposto che Jessica rifiuti, non che accetti, e la regista si diverte a mostrare l’imbarazzo e le contraddizioni di certi comportamenti. Come quando la “padrona” Barbara trova Jessica seduta al tavolo della cucina e allora le prepara la colazione, o quando la famiglia è seduta al grande tavolo per la cena, ma ognuno è più interessato a guardare il proprio smartphone piuttosto che gli altri commensali o il proprio piatt

È arrivata mia figlia (in originale “A che ora arriva?”) è un film delicato e pienamente godibile, che mettendo in scena ironicamente le differenze sociali alterna momenti malinconici a tocchi di satira. Regina Casé (premiata anche dalla giuria del Sundance Festival) è perfetta nel mostrare lo spaesamento di fronte alla crisi di abitudini e regole ormai date per scontate. Ma la regista non si accontenta della “pars destruens” bensì descrive al tempo stesso, con un bel cambio di passo nel finale, anche il vertiginoso aprirsi nella protagonista di una prospettiva diversa in cui si dimostra capace di riscoprire il proprio orgoglio materno, correre dei rischi, sfidare l’incertezza del futuro, per poter riprendere il rapporto con la figlia da troppo tempo (e non per colpa sua) trascurato in un finale delicato e pieno di emozione.

Beppe Musicco