Due fratelli inizia nel 1989, quando Rose arriva a Parigi dalla Costa d’Avorio, portando con sé i due figli piccoli, Jean e Ernest. La vita non è facile per una madre single nella banlieue, ma Rose non rinuncia alla sua indipendenza e al desiderio di libertà. Jean ed Ernest sono molto uniti da piccoli; il primo sembra destinato a una brillante carriera scolastica, il secondo è attratto dalla poesia ma è più in difficoltà con la lingua. Finiranno con il prendere strade diverse, anche nei confronti della madre…
Diretto da Léonor Serraille, al suo secondo lungometraggio, Due fratelli si ispira alla vita realmente vissuta dal compagno della regista. Il film, visto attraverso gli occhi di Ernest, è suddiviso in tre parti: Rose (impersonata dalla bravissima Annabelle Lengronne), Jean (Sidy Fofana, Stéphane Bak) e Ernest (Milan Doucansi, Kenzo Sambin, Ahmed Sylla). Siamo di fronte a una storia di immigrazione e del tentativo difficile di integrarsi per chi arriva dall’Africa in una realtà complessa come quella francese, o comunque occidentale. Rose e i suoi figli arrivano in Francia in aereo, hanno un appoggio da una coppia di amici; non sono allo sbando e hanno la fortuna di parlare già la lingua ma per Rose iniziare una nuova vita non è facile. È una donna orgogliosa e autonoma, che vuole essere libera. Apparentemente forte ma talvolta la si vede piangere in silenzio e di nascosto dai figli. Cerca anche una stabilità affettiva, anche se le sue scelte si rivelano sempre errate. Rose chiede molto ai suoi figli: di studiare, di primeggiare, di essere migliori degli altri per farsi strada. Non ha un carattere facile e questo crea tensioni, soprattutto con Jean che la vorrebbe più presente.
Le difficoltà della vita quotidiana e il passare da Parigi a Rouen, dove Rose vive con un nuovo compagno, ricadono anche sui figli. Jean sembrava predestinato a una brillante carriera scolastica ma arrivato all’Università, entra in una profonda crisi di identità che lo porta a comportamenti troppo al di sopra delle righe, con il rischio di essere autodistruttivi. Non sa più chi è e chi vorrebbe essere. Si è molto responsabilizzato, soprattutto nei confronti del fratello, ma entra in un cortocircuito psicologico. Per questo la madre e il patrigno lo rispediscono in Costa d’Avorio dagli zii. Colui che sembrava il più timido e in difficoltà, Ernest, è l’unico a trovare una sua strada, diventando professore di filosofia. Anche per lui, però, non è facile convivere con i pregiudizi rispetto alle persone di colore – emblematica la scena di una brusca perquisizione cui è sottoposto – e con una madre che lui accusa di aver brutalmente tagliato i ponti con Jean. Soprattutto dà l’impressione di essere una persona sola.
Due fratelli non ci mostra scene di violenza nelle banlieue, come abbiamo visto nel recente Athena che si può recuperare su Netflix, ma ci racconta le difficoltà quotidiane e più intime di una famiglia che si trova a vivere in un altro Paese e che prova a vincere le sue sfide come moderni “guerrieri”. Anche se il film ha alcuni momenti di stanca, e forse le due ore di durata sono troppe, ha un finale molto coinvolgente. Presentato in concorso al Festival di Cannes.
Stefano Radice
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