Finalmente un bell’horror, solido, pieno di trovate. Lo dirige Sam Raimi, ex ragazzaccio terribile dell’horror dei primi anni ’80 (sono suoi La casa, La casa 2 e L’armata delle tenebre), autore di Spider-Man e dei suoi due sequel, capace di coinvolgere il pubblico ricorrendo da un lato agli stereotipi narrativi dell’horror (l’impianto da fiaba gotica), dall’altro utilizzando meccanismi e situazioni da horror classico: gli effetti naturalistici, dalle ombre al rumore dei passi, alle foglie secche che svolazzano; l’uso intelligente di una buona colonna sonora; una messinscena semplice, quasi artigianale, con due attori in campo e un uso non invasivo di effetti speciali. Il risultato è molto gustoso per l’amante del genere e del cinema di Raimi: ricco di omaggi e citazioni e auto-citazioni, non privo di un’ironia nera che è sempre stata il marchio di fabbrica del regista di Soldi sporchi, Drag Me To Hell è una boccata d’ossigeno all’interno di un panorama asfittico per quanto riguarda il cinema horror, confinato da qualche stagione a questa parte al ruolo di semplice vetrina di corpi martoriati e ferite esibite, carrellata di effetti fini a se stessi che generano ribrezzo ma non suscitano né paura né tantomeno inquietudine. Far paura è invece un’arte, che coinvolge tanti mestieri del cinema, dal montaggio alla sceneggiatura alla fotografia, e non è da tutti: Hitchcock insegna. E se Raimi non è il maestro del brivido, è però un bravo mestierante, fors’anche un Autore seppur di genere, capace di raccontare storie semplici ma coinvolgenti usando tutti gli strumenti del cinema e non limitandosi alla strada più semplice e diretta dell’effetto speciale puro. E’un bel modo di fare cinema che gioca con intelligenza sulle paure più o meno recondite dello spettatore (nel film c’è aria, eccome, di crisi economica e la cattiva è di chiare origini immigrate): una bella distanza, insomma, rispetto ai vari Hostel, Saw horror ossessionati dal puro corpo, affascinati, forse istupiditi, dallo scorrere del sangue.,Simone Fortunato