A tre anni dalla fine di una delle serie di maggior successo della televisione inglese (e mondiale), la famiglia Crawley e i loro servitori tornano per deliziare il loro pubblico (decisamente il film è pensato soprattutto per i fedeli fan della serie, un po’ come gli “speciali natalizi” che avevano accompagnato le varie stagioni dell’originale) con gli ennesimi intrighi, amori e battibecchi tra i piani alti dei nobili e quelli bassi della servitù.
Per alzare la posta questa volta Julian Fellowes, lo storico autore della serie ma anche di quello che può esserne considerato il progenitore nobile, Gosford Park di Robert Altman, mette la famiglia Crawley a contatto addirittura con la famiglia reale (per il cui maggiordomo l’imponente Downton Abbey non è che una piccola dimora di campagna) e con le impreviste esigenze che gli illustri visitatori mettono in campo. Praticamente una specie di crossover con l’altro period inglese per intenditori, The Crown.
Se le formalità della vita dell’illustre magione potevano sembrare qualcosa di fuori dal tempo al pubblico contemporaneo, queste si dimostrano assai meno impegnative di quelle richieste dall’apparato reale, che entra a Downton come una specie di schiera di invasori con la puzza sotto il naso, cui inizialmente la servitù si piega per entusiasmo verso il sovrano, ma che poi scatenerà una specie di “rivolta”, anche se sempre nello stile british e intelligente della serie.
La visita ovviamente è l’occasione per riprendere le fila di rapporti che il pubblico televisivo già ben conosce (e in cui anche quello nuovo può entrare abbastanza agevolmente) e mettere in piedi (forse un po’ frettolosamente) un paio di nuove storie d’amore.
Se i coniugi Crawley sembrano godersi il loro privilegio con la beata incoscienza di chi lo ha sempre avuto e non ne dubita mai davvero, la figlia maggiore Lady Mary lotta con le tasse e le spese per tenere in piedi la “baracca” (per modo di dire) e inizia a chiedersi se ne valga la pena, l’anziana Lady Violet (Maggie Smith, uno dei simboli della serie) commenta sarcastica come sempre e rischia l’incidente diplomatico con una lontana cugina che non vuole piegarsi ai suoi voleri; mentre Lady Edith, il brutto anatroccolo che ha finalmente trovato la felicità matrimoniale contro ogni aspettativa, deve fare i conti con gli impegni del ruolo, e Tom Branson, l’irlandese repubblicano adottato per matrimonio dalla famiglia, vede testata la sua lealtà e forse troverà finalmente un nuovo amore.
Queste sono solo alcune delle storie che si intrecciano nelle due ore di film, che si prende il suo tempo per far riambientare il pubblico con Downton e i suoi rituali, assediati nel bene (il boiler e l’elettricità) e nel male (il personale che cerca nuove strade) dalla modernità.
Uno spazio particolare è dedicato al nuovo maggiordomo Thomas Barrow, un tempo maligno valletto sempre pronto a complottare (e in effetti uno dei più godibili “cattivi” del panorama televisivo britannico) ora alle prese con la sua omosessualità, che per ruolo è costretto a nascondere e che lo mette nei guai quando si concede una gita a York, dove si fa arrestare dalla polizia in un locale “per soli uomini” (l’omosessualità in Inghilterra resterà reato fin oltre la Seconda Guerra Mondiale).
Questa linea di racconto è forse il solo punto dove Fellowes si fa prendere un po’ la mano dal politically correct finendo per risultare predicatorio, anche perché per il resto il film è un’elegiaca celebrazione del bel tempo che fu, del valore di coesione sociale di un mondo privilegiato che però nonostante tutto offriva un insieme di valori e un simbolo a cui guardare per sentirsi parte di qualcosa. Un mondo non privo di crudeltà e di ingiustizie, magari, gestite però con impeccabile stile e decenza, capace di superare scandali e pettegolezzi, ma anche lutti e drammi personali attraverso un inimitabile sense of humor e un senso di appartenenza e di orgoglio che dai piani alti scende fino al fondo delle cucine.
Laura Cotta Ramosino