Bologna: un professore universitario viene prima contestato e poi ucciso da un gruppo terrorista di estrema sinistra. Parigi: Marco, un ex terrorista degli anni di piombo e rifugiato in Francia approfittando della legge Mitterrand che offriva immunità a persone ricercate per terrorismo, viene però sospettato dal governo italiano di essere il mandante dell’omicidio. Parte così dall’Italia la richiesta di estradizione. Marco decide, quindi, di fuggire in Nicaragua con la figlia adolescente Viola.
Presentato a Cannes nel 2017, Dopo la guerra è il primo film di finzione di Annarita Zambrano. Un film non facile e coraggioso – ispirato alla tragica vicenda di Marco Biagi ucciso nel 2002 dalle Brigate Rosse – perché si addentra in una delle ferite ancora sanguinanti della storia italiana, quella del terrorismo di estrema sinistra o destra che ha insanguinato il nostro Paese. La regista, però, sceglie un taglio particolare. Il film, infatti, non scava nelle ragioni sociopolitiche che portarono a fine anni 60 decine di persone a intraprendere quella strada, ma si sofferma sulle conseguenze che le loro azioni hanno causato sulle persone a loro vicine. Nella parte italiana, infatti, il film si focalizza sulle figure di Anna (Barbora Bobulova, molto brava), sorella di Marco (Giuseppe Battiston, più a suo agio in altre parti a nostro avviso), sul marito Riccardo (Fabrizio Ferracane), un magistrato di primo piano nazionale, e sulla madre Teresa (Elisabetta Piccolomini). Anche loro vengono investite direttamente dall’attenzione mediatica che si riaccende su Marco. È il maledetto passato che ritorna e le loro vite ne vengono sconvolte nei gesti quotidiani. Sono anche loro vittime e, agli occhi dell’opinione pubblica, colpevoli per il fatto di essere parenti di un terrorista. Nella parte francese tutto ruota attorno al rapporto tra Marco e la figlia Viola (Charlotte Cétaire) che viene letteralmente strappata dalla sua vita, dalle sue amicizie e passioni. Un rapimento vero e proprio che si conclude in un casolare abbandonato dove Marco aspetta i documenti per scappare e dove incontrerà una giornalista per un’intervista in cui ribadisce le folli ragioni – senza ombra di pentimento – che lo hanno portato sulla strada del terrorismo.
Il film è certamente intenso e ricco di spunti. Dove fatica un po’ è proprio nell’amalgamare la parte italiana (più convincente) con quella francese; il film sembra veramente troppo spaccato in due parti. Rimane comunque un interessante esempio di cinema di impegno civile, da parte di una regista che ha dimostrato di avere coraggio e qualità.
Aldo Artosin