Una studentessa di astronomia, Kate Dibiasky, che studia per il dottorato all’università del Michigan, scopre una nuova cometa. Ma l’entusiasmo per la scoperta lascia il posto al terrore, quando il suo docente, il professor Mindy, calcola l’impatto disastroso sulla Terra del gigantesco asteroide (di una decina di chilometri di diametro) di lì a sei mesi. I due – insieme a un altro studioso, il professor Oglethorpe – provano a far capire al presidente degli Stati Uniti, Janie Orlan, il rischio devastante e mortale: per tutta risposta, ottengono da lei e dal figlio arrogante, suo stretto collaboratore alla Casa Bianca, battutine e sdrammatizzazioni fuori luogo. Non va meglio con i media, da cui gli studiosi allarmati cercano di avere attenzione, che ridicolizzano in particolare la ragazza che diventa in fretta per tutto il paese una squilibrata apocalittica («moriremo tutti!, urla in un talk show tv scatenando “meme” e sarcasmi generali). Finché la donna che comanda gli Usa – coinvolta in uno scandalo a luci rosse – decide di richiamare i tre astronomi per scusarsi e prendere sul serio i loro allarmi: per salvare la presidenza non c’è niente di meglio che attirare l’attenzione degli elettori sul pericolo che incombe sul pianeta e incassare i benefici di un’operazione di salvataggio, attraverso un’operazione militar-aerospaziale per distruggere la cometa. Ma quando il dottor Mindy sta diventando un collaboratore sempre più inserito nei meccanismi comunicativi della Casa Bianca (con sdegno della giovane studentessa) e un vecchio ed eroico militare è già stato lanciato in orbita, il programma viene annullato per motivi commerciali: il potentissimo miliardario Peter Isherwell, guru della tecnologia, ha scoperto che l’asteroide è ricco di minerali preziosi… Come recuperarli, salvando allo stesso tempo la Terra? Per il dottor Mindy i nuovi progetti messi in campo sono a dir poco deliranti. Ma ha ancora la credibilità per rilanciare l’allarme?
Adam McKay è un regista tra i più interessanti degli ultimi anni e ha messo il suo talento di autore comico (i suoi primi film erano commedie demenziali) al servizio di film di satira contro il potere politico ed economico, prima con il capolavoro La grande scommessa (2015), sulla crisi finanziaria che travolse l’America nel 2008, e poi con l’ottimo Vice – L’uomo nell’ombra sul potente vicepresidente Usa Dick Cheney. Anche in Don’t Look Up la satira punta in alto, anche se la storia non è ovviamente realistica ma sfocia in una fantascienza contemporanea (a parte le scene finali nel futuro). Ma, pur essendo stato scritto in era pre-Covid, ad aleggiare sulla storia c’è anche il clima di scetticismo sulla pandemia (Meryl Streep nei panni della prima donna presidente non può non ricordare, nonostante la foto di Clinton sulla scrivania, l’atteggiamento dell’ex presidente Trump).
Di momenti divertenti ce ne sono, e parecchi, grazie anche a un super cast dove spiccano i protagonisti Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence, a super star come la già citata Meryl Streep e Cate Blanchett che si divertono alle prese con due personaggi odiosi (“la” presidente, appunto, e la presentatrice del talk show che seduce il sempre più confuso dottor Mindy, che a un certo punto si fa traviare dal profumo della celebrità), a caratterizzazioni strepitose come quelle di Jonah Hill e di Mark Rylance, rispettivamente nei panni del figlio / assistente e del guru (in lingua originale è uno spasso sentirlo parlare, per appena accennati difetti verbali che accentuano l’alone di “santità” mediatica e tecnologica). E i bersagli satirici vanno a segno anche stavolta, a colpire non solo i potenti (politici e media), nonché tanti scienziati che tendono a far perdere fiducia nella scienza, ma anche il popolo, irrazionale e pecorone sia quando c’è da partecipare al dileggio di chi lancia allarmi che poi a finire nel panico. O a dividersi in due fazioni altrettanto rumorose e insopportabili (anche se una delle due ha qualche ragione). Ma sono bersagli fin troppo facili, e certo non nuovi per Hollywood.
Alla lunga oltre tutto si avverte una certa stanchezza, nelle due ore e mezza un po’ eccessive: il film è distribuito da Netflix che entrò nel “team” prima delle riprese, ed è ormai chiaro che la linea editoriale della piattaforma è dare mano libera ai registi, senza quel sano scontro con produttori o finanziatori che ha caratterizzato la storia del Cinema: in sala questo si avverte, mentre in tv o su un computer la fruizione cambia e consente lunghezze maggiori. Ma non è sana questa deriva, che porta non solo a una mancanza di sintesi ma anche di controllo e rigore sulle sceneggiature: a volte un po’ di tagli a scene inutili o battute e situazioni poco felici rendono più convincente un film.
L’allarme su cosa stia diventando l’umanità («Cosa ci è successo? Non sappiamo più comunicare tra noi!» urla in diretta il dottor Mindy, quando si accorge di essere stato usato) e sulla necessità di guardare i segni della realtà contro chi non vuole far sollevare lo sguardo (Don’t Look Up, appunto) avviene in maniera fin troppo urlata e didascalica; e rischia di perdersi in una sarabanda frenetica di momenti e spunti, anche per un finale che alterna pesante sarcasmo, sentimenti a fiumi e un colpo di scena finale divertente e agghiacciante (per quanto ipotizzabile). Per un buon film che rimarrà meno nella memoria dei due precedenti di McKay, molto più efficaci e graffianti anche perché l’oggetto della satira era reale e contemporaneo, e non un pericolo da fantascienza più farsesca che minacciosa.
Antonio Autieri
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