Grande successo della letteratura per bambini, le storie del Dottor Dolittle sono già state portate sul grande schermo con l’interpretazione di Rex Harrison (1967) ed Eddie Murphy (1998 e 2001). A dispetto della loro fortuna letteraria, i film non sono mai stati un successo (il primo fu addirittura un colossale fiasco). Temiamo che anche questa volta non andrà meglio delle precedenti.
Il film si apre con un prologo a disegni animati che traccia la storia del veterinario dottor Dolittle (Robert Downey Jr.), col suo straordinario talento per comunicare con gli animali, e la moglie Lily, grande esploratrice. Insieme hanno una tenuta, donata dalla Regina per i loro meriti, nella quale ospitano e guariscono animali di tutte le specie. Ma, partita per una missione in terre lontane, Lily non fa più ritorno, e Dolittle si chiude nella tenuta come un eremita, circondato solo da animali. La malattia della giovane regina (che forse è stata avvelenata) obbliga Dolittle a rivedere le sue decisioni, e a imbarcarsi in una nuova e temibile impresa, accompagnato dal suo giovane apprendista (Harry Collett) e dai suoi più fedeli animali. Il tutto mentre il suo acerrimo nemico dottor Mudfly (Michael Sheen) cerca di precederlo e addirittura ucciderlo.
Realizzato con grande dispiego di effetti speciali e con un cast di nomi famosi in cui trovano posto anche Antonio Banderas e Jim Broadbent, il film (che ha avuto grossi problemi di realizzazione e regia), manca purtroppo di qualunque fascino che faccia scattare l’empatia nello spettatore. I personaggi, a partire da Dolittle, hanno scarsissimo spessore psicologico, e il suo interagire con gli animali, al di là della precisione degli effetti speciali, non aggiunge alcun fascino alla storia. Lo stesso prologo sulla storia tra il dottore e la moglie sembra copiare le intenzioni di quello realizzato dalla Pixar per Up!, ma manca di qualsiasi carica emozionale. Il dolore provato dal protagonista, che lo porta a rinchiudersi, sembra non influenzare minimamente il suo comportamento futuro, tanto che un momento che potrebbe esserne diretta conseguenza – l’incontro con un drago che ha provato la stessa perdita e dolore – si risolve in un’ispezione intestinale con ritrovamento di una cornamusa e contorno di flatulenze: una scena da comicità di basso livello e anche poco divertente. La figura del giovane apprendista, che dovrebbe caricare di significato la storia, si dimostra del tutto accessoria e dalla scarsa presenza; così come quella del suo arcinemico, il cui comportamento è più da cartone animato che da film.
L’impressione che si ha è di una serie di scene che siano state girate e poi messe insieme senza avere un vero legame che arrivi a costruire una storia che abbia fascino o significato, ricche di colori ed effetti speciali digitali, ma che – visto il tema, passateci la metafora – la fanno assomigliare a un animale impagliato: tanto bello quanto privo di vita.
Beppe Musicco