Una famiglia, composta da padre, madre e tre figli, vive in periferia in una casa circondata da un grande recinto. I ragazzi non hanno mai oltrepassato il muro che li separa dal resto della città e sono stati educati e istruiti per volere dei genitori senza alcuna influenza dal mondo esterno: fuori il mondo è cattivo e fa paura, e nessuno deve uscire da quel recinto se non vuole correre rischi mortali. Oltre tutto i tre hanno imparato che un bambino è pronto per uscire di casa solamente quando cadrà uno dei propri denti canini, e quindi… L’equilibrio viene spezzato quando il padre, per soddisfare gli istinti sessuali del figlio, introduce in casa un elemento esterno: Christina, una ragazza che lavora nella sua azienda, la cui presenza saltuaria e disturbante travolgerà i tre ragazzi.

Si capisce subito che c’è qualcosa che non va in quella famiglia: certe parole, insegnate ai figli in modo scorretto, ribaltano non solo le convenzioni linguistiche ma anche i significati. Come nella canzone di Frank Sinatra, tradotta a uso e consumo del padre e della chiusura al mondo così ben organizzata. Ma man mano vediamo farneticazioni su un figlio morto (era fuggito?) e su nemici violenti e terribili (i gatti…), mentre le relazioni si fanno sempre più distorte o morbose: non solo con Christina, che passa con disinvoltura nella stanza di una delle due sorelle, ma anche tra le sorelle stesse o tra il fratello e loro due. Mentre la madre, succube del marito, non fa nulla per cambiare il corso delle cose.

Esce solo adesso questo film greco del 2009, opera seconda del regista Yorgos Lanthimos che poi si fece conoscere nei principali festival con i successivi film (Alps, The Lobster, Il sacrificio del cervo sacro fino al grande successo La favorita). Già questo Dogtooth era passato, all’epoca, nella sezione Un Certain Regard di Cannes dove aveva portato a casa il premio principale. Lanthimos è in effetti regista tipicamente di film da festival, dove il cinismo e la spregiudicatezza sono le cifre di stile e contenuto. Anche se sono trasgressioni banali e straviste (il sesso in varie combinazioni, anche incestuose, capirai…) , di corto respiro, pure un po’ ridicole. Sfugge il senso della provocazione, all’ennesimo film sulla famiglia malata e iper protettiva. Con una messa in scena è povera e asfittica. E una storia davvero poco credibile: come si può credere che tre ragazzi ventenni o giù di lì, possano essere stati tenuti così a lungo in condizione di minorità e reclusi in una casa (anche se vediamo piccoli tentativi di ribellioni, anche masochistici)? Alla larga.

Antonio Autieri