Dopo un inizio, nel 1976, in cui vediamo una bambina essere uccisa da una misteriosa setta di fanatici, ritroviamo il piccolo Danny Torrance – decisamente turbato per i fatti avvenuti all’Overlook Hotel, scatenati dalla follia del padre – con la madre. Danny viene avvicinato da quel Dick Hallorann che gli aveva spiegato cosa fosse la “luccicanza”, ovvero il dono di vedere fatti accaduti in passato o premonizioni del futuro che li accomunava; e ora Dick gli spiega come tenere a bada i terrificanti fantasmi di morte che lo tormentano dopo quell’orribile esperienza. Poi, dopo un salto di qualche decennio che ci porta al 2011, troviamo Danny adulto alcolizzato e dalla vita ormai segnata da quell’infanzia certo non facile: ma l’aiuto di un gruppo di alcolisti anonimi e in particolare del generoso Billy e del dottor Dalton, riesce a recuperare un equilibrio, e anche ad usare il suo dono – nel suo nuovo lavoro di assistente in un ospizio – per confortare i moribondi e accompagnarli nel sonno eterno, cosa che lo porta a essere chiamato Doctor Sleep. Nel frattempo strane scritte compaiono su una lavagna in casa sua: qualcuno sta entrando in contatto con lui, una ragazzina di nome Abra che ha la sua stessa “luccicanza”. Anni dopo, ai giorni nostri, Abra lo contatta in maniera più decisa: quel dono la mette in pericolo, perché il gruppo dei fanatici cerca questi bambini “speciali” per nutrirsi, come vampiri, del loro respiro… Danny dovrà mettere a rischio il ritrovato equilibrio per difenderla, affrontando così nuovamente le sue paure e risvegliando i fantasmi del passato.
Decidere di adattare per il cinema il romanzo di Stephen King ha comportato non solo i normali rischi di chi porta sullo schermo parole, storie e immaginazione di uno scrittore tanto amato dai suoi lettori; ma anche, e forse soprattutto, il confronto impossibile con un gigante del cinema come Stanley Kubrick, essendo quel romanzo il seguito di Shining, che Kubrick adattò da par suo nel suo omonimo film (capolavoro di un genere horror ancora non degenerato, a inizio anni 80). Il fatto che King non ne fosse rimasto affatto contento (mah…) e che abbia avallato questo film diretto da Mike Flanagan – autore di film di genere come Oculus, Sominia e Ouija – non ha reso più semplice l’operazione: ormai Shining è di Kubrick, per chi ama il cinema, molto più di quanto non sia di King.
Flanagan, in un certo senso, porta a casa la pelle: il film non è il disastro paventato, bensì un compitino accurato e professionale, grazie anche a un protagonista come Ewan McGregor, a un’ottima “cattiva” come Rebecca Ferguson (vista negli ultimi Mission: Impossible), nei panni della perfida e sanguinaria Rose, e ad alcune scene inquietanti quanto serve. Ma certo Doctor Sleep lascia perplessi, a cominciare da una durata esagerata di due ore e mezza, a un calo di tensione nella parte finale quando più sarebbe giustificata e a operazioni di calco su alcuni momenti, scene, personaggi del film di Kubrick (comprese le due gemelline…) che risultano irritanti: soprattutto quando la storia ci riporta all’Overlook Hotel, in particolare quando appare un attore che dovrebbe essere un credibile Jack Torrrance senza essere Jack Nicholson. Scene che fanno pensare a uno di quei film-parodia dove le somiglianze lasciano il tempo che trovano. E a un “parassitismo” creativo che si appoggia all’opera di un autore scomparso (altro che omaggio, chissà come reagirebbe Stanley se fosse vivo…).
E se il personaggio di Abra sembra più debitore a tanti moderni teen ager movie che a un film che vuole confrontarsi con quel mito, qui manca completamene quella capacità di Kubrick (e dei suoi attori) di creare una tensione continua anche nelle situazioni iniziali più quotidiane e di far aleggiare un’atmosfera misteriosa e incomprensibile, preferendo invece mostrare tutto e spiegare tutto. E l’interesse cala via via: se si risolleva con il ritorno all’Overlook, lo scontro finale porta a un epilogo meno incisivo di quanto sembri. Alla fine, insomma, il film pare più inutile (e furbo) che brutto. Ma se di Shining continuiamo ad avere gradevoli (e anche terrificanti) ricordi, questo ce lo siamo già dimenticati.
Luigi De Giorgio