Il tema del matrimonio contratto in incoscienza (qui con grande originalità s’è scelto il peyote, un fungo allucinogeno che naturalmente dà effetti completamente differenti da quelli mostrati da protagonisti che sembrano piuttosto averci dato dentro col prosecco) non è affatto nuovo al cinema; e l’idea di essersi sposati a Las Vegas sembra l’occasione di un bel viaggetto per troupe e cast piuttosto che una soluzione brillante per la sceneggiatura. Ma prendiamo pure per buone le vicende di Elena (Andrea Delogu) e Lorenzo (Giampaolo Morelli), cui basta una frequentazione di poche ore e un po’ di peyote per volersi sposare al termine di una vacanza studio. L’inciampo salta fuori vent’anni dopo, quando lei è un’affermata comunicatrice per un grande fornitore nazionale di energia elettrica e lui un ghost writer che vive con un amico (Ricky Memphis) che è stato cacciato dalla moglie. Elena vuole sposare un imprenditore di successo (Gian Marco Tognazzi) ma per velocizzare le pratiche di annullamento deve tornare a Las Vegas con Lorenzo. Lì incapperanno in una serie di disavventure, che faranno riflettere Elena sul grande passo che si appresta a compiere.

Della poca originalità della trama (cui bisogna aggiungere anche la grande idea di una breve scena nel banco di pegni di Las Vegas oggetto della trasmissione “Affari di Famiglia”) abbiamo già detto. Morelli e Ricky Memphis ce la mettono tutta, e come coppia convivente sono anche simpatici. Andrea Delogu ha ancora molto della scoppiettante conduttrice televisiva e risulta poco credibile nelle scene che richiedono un maggiore approfondimento psicologico, ma tutti sono certamente penalizzati da una trama banale e da personaggi veramente terra terra.

Un’ultima osservazione: nella scena finale Elena è sul palcoscenico per presentare il suo progetto e chiude con un’invocazione dei nativi americani: «O Grande Spirito, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare e il coraggio di cambiare le cose che posso». L’avete già sentita? Infatti, è una preghiera di San Francesco di Assisi. E i quattro (dicasi quattro) sceneggiatori del film non son riusciti a trovare uno straccio di autentica invocazione indiana, tanto da dover usare San Francesco, vergognandosi pure di citarlo? Ma cambiate mestiere.

Beppe Musicco