Il titolo internazionale ha un altro sapore: God Exists, Her name is Petrunya; ovvero Dio esiste, il suo nome è Petrunya. Il titolo italiano, Dio è donna e il suo nome è Petrunya, punta subito all’essenza del film: è giusto indignarsi se una donna, quasi per caso, vince una tradizione religiosa (che realmente si svolge ogni 19 gennaio nei paesi di tradizione ortodossa) affidata solo agli uomini e recuperi, prima di tutti, una croce lanciata in acqua?

Ispirato a un fatto di cronaca accaduto a Štip, in Macedonia, il film della brava regista macedone Teona Mitevska prende questo piccolo evento e lo trasforma in una grande storia. Petrunya ha 32 anni, è robusta, un po’ sgraziata. Vive ancora a casa con i suoi genitori: il padre premuroso e costretto all’uso delle stampelle per camminare, e la madre dispotica e poco comprensiva. Non trova lavoro, neanche attraverso lontane raccomandazioni. E dopo un colloquio andato male, Petrunya si ritrova in mezzo a una processione religiosa che si conclude con il lancio della croce in acqua. La vede solo lei, istintivamente si tuffa nel fiume e la recupera per prima. È lei la vincitrice, ma il gruppo dei presenti rivendica l’infrazione della tradizione. Pian piano a quel gruppo di uomini si affianca il capo della comunità ortodossa, la polizia, la popolazione oltranzista fino alla madre di Petrunya. A difenderla rimangono poche persone.

Dio è donna e il suo nome è Petrunya si svolge in poco più di 90 minuti, eppure contiene tutto. C’è la distanza generazionale ed emotiva di una ragazza, non più adolescente, da sua madre; c’è una giornalista che vuole fare, con tutta l’arroganza possibile, una corretta informazione; c’è la presenza di Stato e Chiesa, due istituzioni, rispettivamente politica e religiosa, che si uniscono per poi scontrarsi. La vicenda personale si mescola a quella sociale e svela quanto rimane ancora da imparare. Petrunya è una donna che cerca di far emergere la verità: forse da questo deriva il titolo del film. Dio si chiama Petrunya perché Petrunya è un’“ultima” che fa emergere la verità personale di chi è ideologico (anche lei in qualche modo lo è nelle sue competenze professionali), di chi è succube di una mentalità più attenta alla forma che alla sostanza; la verità del fedele che rivendica la conoscenza del volere di Dio ma invece è superstizioso e non ha le risposte vere che nascono dalla fede.

In più c’è, per i cristiani e non, un bellissimo legame con la Croce. Di chi è veramente la Croce? Perché esiste la Croce? Da dove nasce la bellezza? Questo piccolo gioiello del cinema macedone mischia tutto: l’estetica della regia, con i suoi piani medi costruiti scena per scena, e i grandi interpreti in gran parte sconosciuti per il pubblico italiano ed europeo (la protagonista Zorica Nusheva è famosa per essere una brava comica) con i loro volti tagliati. La sequenza iniziale e quella finale mostrano che servono forma e contenuto e che la realtà è così densa di significato che, per creare l’arte, occorre solo farsi interrogare e sorprendere.

Emanuela Genovese