Dopo Ayrton Senna e Amy Winehouse, Diego Maradona. Asif Kapadia è il miglior narratore di “vite illustri” sotto la forma del documentario come conferma il suo Diego Maradona. Un film che illumina le gesta sportive e i numerosi lati oscuri della parabola del grande campione. Uno dei più grandi della storia del calcio, se non – per qualcuno – il più grande. Anche se paragonare campioni di epoche diverse è assurdo: Pelè o Maradona? Come si fa a scegliere tra i due?

Del pibe de oro vediamo, nell’incipit che precede i titoli di testa, la veloce carrellata dall’infanzia alla crisi con il Barcellona, passando dalle prime imprese all’affermazione con i Boca Juniors. Poi il fatto che cambia la sua vita e quella del calcio italiano: l’arrivo il 5 luglio 1984 a Napoli, dove un presidente furbo e visionario come Corrado Ferlaino lo portò infilandosi nella diatriba con il Barça (e sorprendendo, quasi scandalizzando, non solo il nostro Paese ma tutta Europa e non solo: il Napoli non era certo una società di prima fascia, e la città viveva drammi che non sembravano poter permettere certe follie economiche, pur imparagonabili a quelle di oggi). Lo accolse una folla già adorante, in uno stadio San Paolo strapieno per una semplice presentazione: quella che diventò in fretta la sua gente, di cui divenne il leader con la generosità di un campione e la malizia politica di un capopopolo. Un amore incondizionato, di una città piena di contraddizioni (ieri più di oggi), che fu ripagato da vittorie mai viste né prima né dopo (due scudetti – ma il primo arriva solo al terzo anno – e varie coppe, tra cui quella europea della Coppa Uefa). Ma anche un amore asfissiante, che con il tempo avrebbe creato rischi di rigetto in Maradona. Un amore, invece, alla fine deluso da un declino troppo rapido e vicino all’autodistruzione. Fino alla fuga improvvisa. Ma a decenni di distanza, quell’amore vive ancora e, se possibile, è ancora più grande.

Il cinema si occupa ancora del campione argentino, cui già Emir Kusturica dedicò il suo bel documentario Maradona di Kusturica nel 2008. Presentato fuori concorso al Festival di Cannes e passato velocemente (per tre giorni) nei cinema italiani come evento speciale, Diego Maradona ci fa vedere il fuoriclasse geniale e mai domo (dai guizzi imprevedibili e dai gesti tecnici meravigliosi, che è bello rivedere a distanza di anni al di là del tifo personale) e l’uomo; quest’ultimo ricco di slanci (la generosità verso l’amatissima e numerosa famiglia, l’affetto enorme per la madre, la commozione per il padre che faceva umili lavori) ma anche di fragilità personali che lo portarono a entrare in giri loschi (il clan camorrista dei Giuliano lo manipolava a piacimento), a non negare la paternità di un figlio avuto da una relazione clandestina con Cristiana Sinagra, amica della sorella), a autodistruggersi tra eccessi di ogni tipo. Con interviste a Maradona stesso ma soprattutto a chi gli stava vicino (il preparatore atletico Fernando Signorini, l’ex moglie Claudia Villafane…), immagini di repertorio celebri o inedite e anche clamorose (comprese certe feste private o in quartieri popolari), Kapadia ci restituisce un ritratto completo dell’uomo Diego e del personaggio mediatico Maradona, come da saggia distinzione di Signorini. Il film si sofferma su alcuni momenti chiave: la vittoria al Mondiale con l’Argentina nel 1986 (dove alterna furbizie disoneste a giocate leggendarie – anche nella stessa partita, ovvero quella con l’Inghilterra – e dove prende su di sé l’intera squadra nei momenti delle difficoltà), il primo scudetto con il Napoli del 1987 (anche qui la squadra era al servizio totale del suo leader, cui era legata da un affetto profondo che non sarebbe mai venuto meno, come si nota dalle frasi degli ex compagni come Ciro Ferrara), lo scontro con tutta l’Italia per i Mondiali del 1990, dove una pessima organizzazione della Federcalcio portò a una semifinale Italia-Argentina nell’unica città dove non si sarebbe dovuta giocare. Maradona, con furbizia, si appellò al popolo napoletano stigmatizzando il razzismo di gran parte d’Italia e invitando a “tradire” tifando la nazionale albiceleste: furono magari pochi quelli che lo seguirono, ma il clima pessimo ebbe un ruolo nella sconfitta italiana. Da lì in poi qualcosa si ruppe, e non gli fu perdonato nulla dei segreti e delle debolezze – la crescente dipendenza dalla droga – che minavano il suo regno (e anche la credibilità sportiva: Ferlaino stesso adombra frodi antidoping nella già controversa stagione 1989/90 che portò al secondo scudetto, “soffiato” in extremis al Milan): pochi mesi dopo, nella primavera 1991, la clamorosa fuga dall’Italia dopo essere risultato positivo alla cocaina dopo un controllo antidoping.

Documentario che esalterà gli sportivi (anche chi detestava  all’epoca Maradona, che in un sondaggio post mondiale 1990 era risultato l’uomo più odiato in Italia), per un calcio ancora romantico in cui c’era maggior spazio per il “fattore umano”, ma che per questo motivo potrà interessare chi cerca grandi storie anche controverse, Diego Maradona è un film emozionante e coinvolgente, ricco di immagini e di episodi anche poco noti (punto di partenza è anche l’archivio di oltre 500 ore di filmati con le riprese sportive fatte negli anni da due operatori legati a Diego), che fa guardare con umana pietà al campione fragile, vittima delle manipolazioni di criminali senza scrupoli come la famiglia Giuliano, del “carrozzone dello sport (che lo ha protetto finché aveva bisogno di lui, per poi “bruciarlo” senza ritegno) e di sé stesso. Ma anche capace di regalare gioia, quando stava bene, ai tifosi e agli sportivi. Una parabola umana bella (il riscatto dalle umili origini, le vittorie, la bellezza dei suoi gol e delle sue imprese) ma anche amara e triste, che disegna quasi l’archetipo di un eroe innalzato sul piedistallo e poi caduto fragorosamente (per responsabilità sue, mai negate, ma con la complicità magari inconsapevole di chi lo adorava e trattava come una divinità). Un personaggio che sembra uscito da un romanzo; e di cui, nonostante tutto, è stato bello seguire la storia.

Antonio Autieri