Ennesimo sfortunato tentativo di trasformare una saga fantascientifica young adult (in questo caso una serie di romanzi di Alexandra Bracken) in un franchise cinematografico di successo, tentativo destinato a schiantarsi a causa della modestia del materiale di partenza e della realizzazione, che ricorda più quella di una serie televisiva di mestiere che un prodotto da grande schermo.
Darkest Minds, nonostante un inizio piuttosto didascalico, non riesce mai a stabilire in modo sufficientemente chiaro, soprattutto dal punto di vista emotivo, le premesse della sua storia. Una terribile epidemia colpisce i bambini uccidendone la gran parte e trasformando gli altri in “mutanti” dai poteri più diversi: quelli più fortunati diventano “solo” dei genietti , poi ci sono quelli che spostano le cose con la mente, ma anche chi manipola l’elettricità… Si immagina un po’ di sconcerto da parte dei genitori, ma davvero si accetterebbe di spedire un figlio al confino solo perché è più bravo di noi in aritmetica?
Peggio va a quelli considerati veramente pericolosi: chi manipola la mente, come la protagonista Ruby Daly, o peggio ancora sputa fuoco stile macchina da guerra, è destinato a immediata estinzione.
Forse fidando nel gran numero di film di mutanti e fantasie distopiche che già hanno invaso il grande schermo (e che fanno percepire tutte queste storie un po’ vecchie e già sentite) gli autori di Darkest Minds non spendono nemmeno cinque minuti a raccontare il dolore dei genitori e il mondo adulto in generale (chi ha più di 18 anni o è un cinico aguzzino, eliminabile senza rimorsi, o un manipolatore), per concentrarsi su questi ragazzini speciali in cerca di salvezza.
Ruby (Amandla Stemberg, da ricordare per un piccolo ma significativo ruolo in Hunger Games) è fin troppo perfettamente scritta: giovane donna di colore, si trova contro un mondo di adulti bianchi cattivi di cui non si può mai fidare; ha una love story inconsistente quanto invasiva con un altro mutante, il sensibile Liam, e – per non farsi mancare nulla – le tocca pure affrontare un tentativo di stupro da parte di un sedicente giovane salvatore.
L’impressione generale è che gli autori di Darkest Minds pensino soprattutto a confezionare una storia perfettamente politically correct (a partire dal cast multietnico che più non si può) più che costruire qualcosa di davvero interessante, e per riuscirci non si facciano scrupolo di utilizzare “pezzi” presi dal meglio e peggio del mainstream circolante, si tratti di citare Harry Potter, o di fare riferimenti a letture scolastiche de La collina dei conigli.
Il risultato è un prodotto con poco cuore e poco appeal, destinato a perdersi tra gli scaffali di un’offerta smisurata che agli adolescenti sa ahinoi spesso solo dare cose già viste e già sentite.
Laura Cotta Ramosino