Ron Woodrof non è propriamente una bella persona: è razzista e omofobo, fanfarone e alcolizzato, tossicodipendente e ladro. Tanto per far capire con chi abbiamo a che fare, nella prima scena del film sta facendo sesso con due donne in un angolo del recinto dei tori del rodeo, poi raccoglie le puntate su un cowboy che deve stare in groppa a un toro per almeno otto secondi e, quando questi cade prima, scappa per non pagare le puntate. È un po’ la storia della sua vita: la fuga per evitare le conseguenze delle sue azioni. Quando si sente male, viene portato in ospedale e scopre di avere l’AIDS, il dottore – brutalmente – gli dà trenta giorni di vita; lui se ne va imprecando “Non c’è niente là fuori che può uccidere Ron Woodroof in 30 giorni”. Matthew McConaughey nei panni del protagonista, complice anche un calo di peso di quasi trenta chili, è impressionante. L’attore, che ormai sembra aver abbandonato le commediole sentimentali, riesce a dare carisma e quasi “nobilitare” la figura di Woodrof. Questi, in un altro ricovero in ospedale, apprende dal compagno di stanza, il travestito Rayon (Jared Leto), che c’è un farmaco “miracoloso”, l’AZT, in fase di sperimentazione proprio nell’ospedale. Grazie a un accordo con un inserviente, Ron riesce a procurarsi il medicinale, finché la scorta finisce e allora viene indirizzato da un medico in Messico (Griffin Dunne), che lo convince a provare un cocktail di vitamine e altri composti non approvati dalla farmacologia statunitense. Passano i mesi, Ron è ancora vivo e fonda il Dallas Buyers Club, un circolo di acquirenti che pagano 400 dollari al mese perché Ron procuri loro le medicine di contrabbando.
La trasformazione del protagonista in uno scarno involucro (che fa concorrenza al Christian Bale di L’uomo senza sonno del 2004) va di pari passo con l’emergere di un’umanità che sembrava impossibile: così Ron passa dalla repulsione per Rayon a una riluttante partnership commerciale e poi a una sincera amicizia, nonostante gli ironici tentativi di Rayon di flirtare con lui. A completare il quadro, Jennifer Garner nel ruolo di una dottoressa che, visti gli effetti pericolosi dell’AZT, sposa le teorie curative di Ron. Dallas Buyers Club è frutto di un progetto iniziato molti anni fa e osteggiato da tutte le major, che ritenevano troppo offensivo il personaggio di Ron Woodroof, tanto che alla fine il film è costato pochi milioni di dollari, ed è stato girato quasi tutto in squallidi interni o in location alquanto povere. Ciò nonostante, l’interpretazione esemplare di Matthew McConaughey riesce a mantenere sui giusti binari un film che (anche per i suoi limiti economici) facilmente sarebbe potuto scivolare nella “santificazione” dei protagonisti o nel lamento contro l’industria farmaceutica e la miope burocrazia che osteggiavano i cocktail medicinali di Woodroof. Questi, sotto i baffi e il cappello da cowboy, rimane un uomo non facile e dalle molte contraddizioni, che la bravura di McConaughey riesce però a farci accettare e guardare in una prospettiva totalmente inaspettata. Di un uomo sgradevole ed egoista che la malattia cambia, diventando capace non solo di combattere per la propria vita ma per quella di tante altre persone.
Beppe Musicco