Tbilisi: nella Georgia post-sovietica vivono in misere condizioni l’anziana Eka con la figlia Marina e la nipote Ada. Eka aspetta con ansia lettere (se possibile, con soldi) e telefonate dell’adorato figlio Otar, che vive alla meno peggio a Parigi. E quando lui muore in un incidente, figlia e nipote nascondono la notizia e continuano a scrivere per lui, per non dare un terribile dolore all'anziana donna…,Diretto da una regista francese esordiente – ex assistente di maestri come Kieslowski, Iosselliani e Tavernier – Da quando Otar è partito è da un lato uno squarcio su una realtà poco conosciuta, povera e disillusa come la Georgia post URSS (con la nonna comunista che rimpiange Stalin), dove anche l’uso dell’illusione è una difesa per chi troppo a lungo – come dice un personaggio – è stato illuso dalla “finzione dello stalinismo”; dall’altro è una commedia surreale e malinconica, con poche cadute di stile e di tono, e qualche didascalismo. Gli affettuosi inganni di Marina e Ada ai danni dell’anziana Eka ricordano – con meno fantasia – quelli di Goodbye Lenin. Bravissima l’interprete della nonna Eka, che palpita teneramente a ogni squillo di telefono pensando che sia il figlio lontano, che bacia le sue lettere e sospira a ogni frase scritta da Otar, che si inerpica su lunghe scalinate di un enorme palazzo per avere un visto per la Francia e andare così a trovare il figlio. Felice è anche la conclusione (da non rivelare), che sembra confermare il valore terapeutico – e quasi inevitabile, in quel contesto – dell’illusione.,