In una notte, a Los Angeles, si intrecciano le storie di uomini e di donne feriti dal pregiudizio e dall’insicurezza. Qualche volta non solo si intrecciano, ma si scontrano. E’ così fragile l’equilibrio su cui si regge la serenità della società americana? Un commerciante di origini arabe che si sente perseguitato per via dei rapporti ostili tra Stati Uniti e medio-oriente, medita vendetta e compra una pistola. Un tranquillo ragazzo ispanico, padre di famiglia, si trova suo malgrado coinvolto in un episodio di odio razziale. Un affermato regista televisivo di colore, sobillato dalla moglie, pensa al riscatto contro una società che, forse, lo opprime. E un poliziotto che ha maturato l’odio e il pregiudizio contro chi ha la pelle diversa dalla sua, abusa del suo potere per umiliare il nemico. Paul Haggis, che è stato lo sceneggiatore premio Oscar di Million Dollar Baby, ci mette di fronte a questa realtà carica di dolore, dove il razzismo sembra dominare i rapporti umani. Ma non è corretto dire che Crash” è un film che affronta soltanto il tema della “pelle diversa”, perché in questa notte californiana c’è altro. Se guardiamo un po’ più a fondo, infatti, ci accorgiamo che l’origine del conflitto, e soprattutto dell’odio, si nasconde nell’atavica paura dell’altro, in una società che va a mille all’ora e che non si ferma a capire e a conoscere chi ha veramente di fronte (e a questo proposito, l’episodio dove è protagonista Sandra Bullock è emblematico). Da qui il pregiudizio superficiale che si ha verso chiunque, la mancanza di punti di riferimento che ognuno porta dentro se stesso, l’egoismo e l’impossibilità di comunicare amore e comprensione (si pensi al personaggio di Don Cheadle). E allora c’è chi se ne lava le mani, chi sta un po’ di qua e un po’ di là per far felici tutti (come il procuratore Brendan Fraser), o c’è chi reagisce per punire chi viene raffigurato come la “rappresentazione del male”. Ma non si possono fare calcoli precisi, perché tutto si regge su un equilibrio fragile. Non ci sono certezze assolute, e allora chi è forte sulle sue posizioni (si pensi ai due poliziotti, Matt Dillon e Ryan Philippe) è il primo a cadere, chi in un tremendo e irreparabile errore, chi nella redenzione e nel cambiamento. Costruito come un collage, in un format e in uno stile molto “indipendente” (fotografia sgranata, macchina a spalla), “Crash”, grazie anche alle belle musiche di Mark Isham, entra nello spettatore come una spina nel fianco, alternando momenti di altissima tensione drammatica ad altri di autentica e struggente poesia. Perché nel suo finale messaggio di speranza (si pensi soprattutto al “mantello” della bambina), il regista sembra volerci dire che tante volte, per cambiare in meglio noi stessi e il mondo, serve anche un pizzico di fantasia “poetica”. E in fondo, in questa società allo sbando, per tutti c’è una seconda possibilità per capire l’errore commesso e per rinascere a una nuova vita, proprio come, in una delle scene più belle e commoventi del film, il poliziotto che salva la vita a chi, poco prima, aveva umiliato volgarmente. Oltre alla complessità e al pregio dei contenuti, il film stupisce per la straordinaria prova corale di tutti gli attori: Matt Dillon è disarmante, da una parte odioso poliziotto e dall’altra figlio tenero e premuroso che si occupa del padre malato, Ryan Philippe è ormai maturo, Sandra Bullock dimostra di saper interpretare un ruolo veramente e profondamente drammatico, Brendan Fraser non è solo il protagonista de La Mummia, ma dimostra di essere pronto anche per ruoli più intensi. Un film significativo, forte, doloroso, che scava nel dramma di una nazione che, oggi, riesce molto difficilmente a comunicare amore, ma che non deve mai perdere la speranza di riuscire a farlo.,Francesco Tremolada

Crash – Contatto fisico
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