Polonia, 1949: tutto attorno è macerie e distruzione, quando si incontrano Viktor e Zula. Lui è un musicista jazz che va in giro a cercare talenti nazionali per un coro di canti popolari. Lei – che ha alle spalle un passato drammatico – ha una bella voce e un viso che non può passare inosservato. Diversissimi tra loro, attratti irresistibilmente l’uno dall’altra. Ma non mancano gli ostacoli: altri amori, senza passione; la politica e la Guerra Fredda, perché per un musicista bravo e richiesto all’estero  – e insofferente a certe dinamiche da regime asservito alla “casa madre” sovietica – le possibili accuse di tradimento erano frequenti (soprattutto c’erano altri interessi in mezzo); a volte il caso ma, soprattutto, i caratteri dei due amanti, portati all’eccesso. Ma senza mai rinnegare i propri sentimenti.

Premiato a Cannes 2018 per la miglior regia e vincitore di ben 5 European Film Awards (i cosiddetti Oscar europei: miglior film, regista, attrice, sceneggiatura e montaggio), Cold War di Paweł Pawlikowski è stato selezionato per rappresentare la Polonia ai premi Oscar 2019 per il miglior film in lingua straniera. Se vincesse sarebbe la seconda prestigiosa statuetta, dopo Ida, per il regista polacco (che ha vissuto e lavorato a lungo in Inghilterra). Il suo nuovo film è dedicato e ispirato ai propri genitori, che vissero una lunghissima e tormentata storia d’amore e morirono nel 1989, prima della caduta del regime comunista che grava come una cappa su tutta la vicenda e sulla Polonia rappresentata in modo cupo e angosciante. Ma il titolo rimanda non solo agli scontri tra i blocchi divisi dalla cortina di ferro, bensì alla guerra privata di Viktor e Zula, irresistibilmente attratti l’uno all’altra ma anche portati incapaci di rimanere insieme. Il loro amore furioso e mai quieto li farà prendere e lasciare mille volte, e sempre tornare a cercarsi quando il destino li riporterà sulla stessa strada.

Quante storie d’amore simili ha raccontato il cinema? Tantissime. Il film dell’autore polacco però si fa ricordare, per la bravura dei due attori (Joanna Kulig ha una bellezza abbacinante e incarna bene la donna umorale che fa star male chi la ama, Tomasz Kot è elegante e sofferente come storia richiede) e per lo stile, a partire dal bianco e nero (con il notevole apporto del direttore della fotografia Lukasz Zal); come per Ida, e sempre in uno schermo riquadrato che volutamente soffoca non poco (anche se i due film sono molto diversi, e qui cc’è maggiore “aria”, forse per via della musica che è talvolta valvola di sfogo al loro dolore). E per i tanti temi sottesi – in soli 90 minuti – alla vicenda amorosa, come il rapporto con la patria, la necessità di andarsene, il disagio da “esuli”.

Ma il tema più forte è quello esistenziale, di due persone che si amano ma si fanno anche del male, anche quando le cose sembrano iniziare ad andare bene. Cold war ha molte qualità, ma è anche un melò freddo e molto costruito, che piacerà ai cultori del cinema d’essai ma susciterà più di un sospetto in chi intuirà “l’ordito della trama”, la programmaticità della parabola autodistruttiva di un amore infelice. Come per Ida, ogni inquadratura sembra studiata per farci urlare al capolavoro, ma senza che ne siamo convinti del tutto. Come il finale, che chiude nello stesso luogo di partenza (una Chiesa diroccata) in un modo che spiazza e risulta prevedibile al tempo stesso.

Luigi De Giorgio