Florence ed Edward sono giovani, inesperti della vita e innamorati. Il caso li ha fatti incontrare e un colpo di fulmine sembrerebbe aver legato nel profondo le loro anime sensibili e diverse; entrambi intimoriti da un mondo in rapido cambiamento (siamo nel 1962) e tesi alla scoperta del proprio futuro, coronano il loro amore sincero con il matrimonio e una luna di miele in riva al mare. Quando però si tratterà di affrontare i primi approcci all’intimità durante la prima notte di nozze, paure e sofferenze seppellite emergeranno, trasformandosi in ingombranti presenze all’interno delle dinamiche di coppia.
Nel 2010 Ian McEwan adattava il proprio famosissimo romanzo Chesil Beach (in italia edito da Einaudi) per il grande schermo, immaginando un film diretto da Sam Mendes; il progetto non si concretizza fin quando, nel 2015 la produttrice Elizabeth Karlsen non coinvolge il regista teatrale inglese Dominic Cooke, noto per la serie tv The Hollow Crown e qui alla sua prima vera prova dietro la macchina da presa. Ciò che ne viene fuori è di certo un’opera fortemente influenzata dalla struttura letteraria di partenza, in una sceneggiatura corretta e contemporaneamente complicata a causa di un tema, quello della sessualità prima della rivoluzione sessantottina, che ha bisogno di essere maneggiato con cautela per evitare derive anacronistiche o parodiche.
Nei suoi tratti da affresco di un’epoca di tabù e convenzioni sociali, il film di Cooke riesce a farci toccare con mano i risvolti sociali e relazionali che un’educazione timorata e dai sani principi poteva ancora permettersi di avere sulle giovani generazioni: Edward è un neolaureato in storia un po’ svagato, di origini popolari e dedito alla famiglia, che esattamente come Florence si trova davanti alla sua prima relazione. Lei, d’altro canto, è “la ragazza più quadrata di tutto l’occidente”, violinista di buona famiglia, apparentemente ribelle ai costumi del tempo ma in fondo tormentata dalla paura del maschile nella forma libresca e meccanica in cui le era stato dato di conoscerlo.
Ma se la costruzione del contesto non pecca di una virgola, offrendoci anche dei bei focus sui background dei protagonisti, è la struttura del film nella sua complessità a mancare di mordente e di ritmo: il momento topico della prima notte viene approcciato attraverso costanti interruzioni di flashback, mirati a giustificare nel passato i comportamenti ingenui e goffi dei due giovani. Questi salti continui risultano alla lunga frustranti per uno spettatore desideroso di scoprire i nodi della questione e costantemente ricondotto ad un al di là dai tempi eccessivamente dilatati. La ridondanza di questo procedimento finisce per annoiare lo spettatore, tanto più inappagato da una narrazione del presente che descrive una serie di situazioni d’imbarazzo e inadeguatezza senza uno spunto di originalità che possa intrigarlo. Questi errori non possono che sconfessare tutte le sfumature del tema offerte fino a quel momento, semplificandolo fino a far perdere anche la magia dell’atmosfera creatasi tra i due. Le buone performance di Saoirse Ronan e Billy Howle riescono a risollevare qua e là un andamento che va ancor più scemando verso un finale confuso, nel quale neanche più la risoluzione – facile e prevedibile – del dramma svelato riesce a rattoppare il tutto. Un’ultimissima sezione accompagnata da un pessimo trucco dei due attori “invecchiati”– ma da una bella inquadratura finale – ci fa domandare cosa sia andato storto nella trasposizione di una storia di ottimo potenziale, non sempre adeguatamente sfruttato da una resa che si attesta sulla medietà senza mai far davvero brillare il materiale di partenza.

Maria Letizia Cilea