Il documentarista Walter Salles al suo secondo lungometraggio dopo Tierra Extranjera (1995), mette in scena un film realistico in superficie ma ricco di metafore e valori simbolici in profondità. Il viaggio in un Brasile vulcanico e magmatico, per nulla turistico, è l’occasione di un radicale cambiamento per i protagonisti che riscoprono il linguaggio dei sentimenti e la propria identità.,”C’è un solo viaggio possibile, quello attraverso il nostro mondo interiore. Il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l’uomo un viaggio simbolico”.Ovunque vada è la sua anima che sta cercando(Andrej Tarkovskij). La riflessione del grande regista sovietico è un ottima chiave ermeneutica per il film. Dora a 67 anni è sola nella vita: per arrotondare la magra pensione scrive lettere per analfabeti alla stazione di Rio. Molte di queste saranno cestinate, altre giaceranno nel “limbo” del suo cassetto. Dora, come la mitica Parca, si annalza ad arbitro e giudice altrui, ma ha perso la capacità di comunicare con tutti, inclusa se stessa. L’analfabetismo grammaticale dei suoi poveri clienti è simmetrico al suo analfabetismo affettivo. L’incontro con Josuè si inscrive in questo orizzonte: due solitudini che si incrociano per caso. La mamma di Iosuè ha appena finito di dettare a Dora una lettera per il marito, che, a quanto pare l’ha abbandonata, quando viene travolta da un autobus. Dora, vincendo la tentazione di sfruttare il piccolo per un illecito guadagno, si impegna con lui nella ricerca del padre che Josuè non ha mai conosciuto, scoprendo i suoi sentimenti perduti e i suoi ricordi di bambina. Da qui inizia il viaggio verso il lontano Nordeste, attraverso il sertao (deserto). L’attraversamento del deserto, le incomprensioni reciproche, i momenti di sconforto dopo l’illusione di aver finalmente trovato il padre, sono le tappe di una maturazione alla vita, alla scoperta del mondo interiore, dei linguaggi e dei segni dell’affettività. Alla penultima “stazione” Dora scrive ancora lettere per gli analfabeti, ma si fa carico del loro destino, le spedisce tutte, in un’empatia solidale e sincera verso la povera gente. Alla fine il padre non si troverà, ma Josuè si congiungerà con i suoi fratelli Isaias e Moisès , riacquistando quindi una famiglia. L’archetipo del viaggio può essere declinato in due modalità: Il viaggio in avanti, alla ricerca della “Terra Promessa” (Mosè) o il viaggio a ritroso alla ricerca delle propria casa(Ulisse). Central do Brasil salda le due varianti in un solo modello: il viaggio è ricerca della “terra promessa”(il padre) e nel contempo un recupero delle proprie radici affettive, umane e antropologiche. Non certo casuali i nomi che girano nel film: il padre si chiama Jesùs, i fratelli Moisès e Isaias, il bambino Josuè. Forse, per trovare la “terra promessa” (il padre), occorre attraversare il deserto, soffrire, cambiare interiormente, ri-scoprendo la propria autentica dimensione religiosa e umana. A questo livello, le suggestioni ermeneutiche si fanno davvero interessanti…