Siamo pronti a scommettere che Daniel Craig come nuovo Bond, così fisico e così biondo, è stata la prima scelta azzeccata da “Casinò Royale”, l’unico degli ultimi anni a non far rimpiangere i mitici esordi. Innanzitutto il film si è allontanato dall’edonismo che dettava legge negli ultimi episodi: è vero che per 007 sono sempre stati importanti i piaceri della vita (dalle auto, alle donne, fino al cibo e alle armi) ma il lusso sfrenato di cui era circondato il Bond di Pierce Brosnan rendeva l’agente più preoccupato delle prodigiose invenzioni tecnologiche che di uccidere e di amare, le due azioni fondanti del mito Bond. Finalmente il Bond cinematografico riesce a recuperare la sua specificità di acuto osservatore, di rapido lottatore, di chi sa cosa vuol dire prendere un rischio. Le sue doti di lottatore sono messe in evidenza subito: un esilarante inseguimento tra palazzi e gru, che non lesina in adrenalina. Quando c’è il “fermi tutti” si tira un attimo il respiro ed è già trascorsa mezz’ora di film come se fossero passati cinque minuti. Eccolo sporco e ammaccato, il nuovo 007 è abbastanza biondo e tormentato da diventare un’icona anche del nuovo millennio. Se ultimamente il cinema ha cercato il lato umano e sofferto persino dei paladini del fumetto, come Spiderman e Superman, quale tentazione andarlo a scovare in questo eroe sopravvissuto alla guerra fredda che ha come unico lato debole le donne? Qui due bondgirl d’eccezione: l’italiana Caterina Murino e la francese Eva Green, giovanissima e seducente interprete di The Dreamers di Bertolucci, ora pronta a tener testa all’agente speciale in effervescenti dialoghi da screwball comedy.
Pudico nel mostrare le scene d’amore, Casinò Royale torna a mettere al centro della storia il complesso rapporto tra Bond e le donne: ammaliatrici, doppie e innocenti al tempo stesso, sono esseri da difendere e da cui difendersi in un sottile gioco al gatto e al topo. Psicologie pungenti e sfaccettate (ma non troppo, si preferisce dare spazio giustamente all’azione) che si nutrono sicuramente dell’intervento alla sceneggiatura da parte del premio Oscar Paul Haggis, sceneggiatore degli ultimi film di Clint Eastwood e regista di Crash. Non ci sono dubbi dunque, Daniel Craig sa amare e uccidere, diventando degno successore di Connery quando con un’impetuosa ironia manda al diavolo il barista che gli chiede come voglia servito il Martini e batte in sofisticata eleganza Moore nel suo conquistare le donne senza alzare un sopracciglio.
Restano gli scenari, prepotenti e imperiosi, sempre in attesa di una grande azione del protagonista: la poderosa gru dell’inizio e l’hangar del mancato attentato legano il film a quel modernismo del boom economico su cui faceva leva il tradizionale mondo Bond, sempre affiancato dall’opulenza degli interni che sia la sala da gioco (dove avviene lo scontro con Le Chiffre, il primo nemico di 007) o l’elegante albergo veneziano dove si consumano gli ultimi momenti d’amore con l’ammaliante Vesper Lynd. Ma James Bond è un eroe dannato all’insoddisfazione eterna e mentre soffriamo d’amore con (o per) lui, aspettiamo soltanto il 2008 quando Craig –avendo convinto veramente tutti- si ricalerà nei panni dell’eroe. E speriamo che sappia ancora pronunciare con glamour e potenza la più celebre battuta della storia del cinema: “Mi chiamo Bond. James Bond”.
Daniela Persico