In un istituto di bellezza di Beirut, alcune donne vivono differenti problemi sentimentali: Layale ha una relazione con un uomo sposato che non ha il coraggio di lasciare la moglie, Nisrine sta per sposarsi e teme che il futuro sposo scopra che non è vergine, Rima scopre che le piacciono le donne, Jamale non accetta i limiti fisici, l’anziana Rose sopporta stancamente della sorella Lili fuori di testa.
Il tema del film di Nadine Labaki (che è anche la protagonista, la bella Layale) è: come parlano le donne quando parlano d’amore? Vi sembra di averlo già visto questo film? In effetti di nuovo c’è poco in Caramel, se non l’inedita (per noi) ambientazione libanese; e le immagini religiose che fanno capolino farebbero pensare a una comunità cristiana, o comunque a una vicina. Peraltro sono attenuati i rimandi ai drammi delle infinite guerre che hanno insanguinato quella città e quella nazione: soprattutto i controlli ossessivi – fino a sembrare goffi – dei poliziotti a chi si ferma in macchina (coppiette comprese) anche solo a parlare, perché da qualche parte c’è comunque una guerra. Ma il tono è sorridente, simpatico, caramelloso come il titolo: quel caramello che serve a fare la ceretta depilatoria nel salone al centro del film, ma che è metafora di una dolcezza tra le donne del film che alla lunga però risulta stucchevole.
I personaggi al centro della vicenda vivono appunto una serie non diciamo di disagi esistenziali e sentimentali, che potrebbero sfociare in drammi che trovano sempre una soluzione: Layale trova il coraggio di lasciare l’amante sposato (anche dopo aver conosciuto la moglie e la figlia) e si innamora di un poliziotto dolce (anche lui… ma è il personaggio più simpatico), Nisrine “torna vergine” chirurgicamente e sposa felice l’inconsapevole sposo; Rima trova una donna con cui scambiare sguardi ammiccanti e che accetta per lei di tagliarsi i lunghi capelli, perfino l’anziana Rose forse ha trovato l’amore in un anziano anglosassone…
La narrazione scorre brillante ma un po’ prevedibile, facile e ammiccante a un pubblico femminile che voglia ritrovare la complicità dei discorsi amorosi tra donne e gli stereotipi di caratteri visti in decine di commedie al femminile, soprattutto americane. Qui il contesto è diverso – povero, dignitoso, non certo sfarzoso come a Hollywood – ma la sostanza non è molto diversa. Una sostanza di sorrisi, malinconie, simpatia. Ma tutto qui. E certe battute trovano comprensione nella critica solo in certi film d’essai dei paesi “in via di sviluppo”: se in un film italiano un personaggio dicesse, come qui, che “il matrimonio è come il melone: bisogna aprirlo per sapere se è buono”, sai i lazzi che si beccherebbe…
Antonio Autieri