Siamo nel 1914, alle soglie della prima guerra mondiale. Capri è un paradiso incontaminato abitato da un popolo di contadini e pastori che vivono nella semplicità di ciò che la terra gli offre; Lucia, giovane capraia analfabeta ma dall’animo curioso e ribelle che vive con una madre timorosa e due fratelli rigidi che la soffocano e vorrebbero darla in sposa a un ricco (e brutto) vedovo locale, prima è respinta e poi rimane affascinata da una comune di artisti e filosofi – soprattutto stranieri – trasferitisi sull’isola per liberarsi delle convenzioni della società civilizzata. Un’idea di progresso con cui si scontra però anche un giovane medico socialista, interessato a Lucia, che crede nella scienza e nella guerra come possibilità per le classi sottomesse.
Mario Martone, dopo Noi credevamo e Il giovane favoloso, torna a trattare temi e personaggi della storia italiana (una comune di stranieri è esistita realmente nella Capri di inizio ’900). Purtroppo lo sforzo compiuto con Capri – Revolution si perde completamente negli stilemi che già caratterizzavano il suo cinema e definisce un’opera dalla confezione raffinata, ma di fatto deludente. Se infatti la regia e la fotografia sono curate nel dettaglio e danno al film un’estetica pulita (supportata anche dalle meravigliose ambientazioni naturali), la sceneggiatura e persino la recitazione (Marianna Fontana si impegna molto ma rimane una figurina abbozzata, come pure la madre Donatella Finocchiaro; altri personaggi, dal medico Carlo interpretato da Antonio Folletto allo straniero Seybu reso dall’oladese Reinout Scholten van Aschat, sono davvero piatti) fanno acqua da tutte le parti. Inoltre, un ritmo insostenibilmente dilatato e un’evoluzione di personaggi ed eventi poco credibile rendono straniante la visione del film; e si punta forzatamente su tematiche quali l’emancipazione della donna, la contrapposizione tra tradizione e rinnovamento, ideali rivoluzionari e libertari che sanno tanto di posticcio e caricaturale. Come pure certe scene (i sabba orgiastici notturni, la levitazione di Lucia…).
Retorica e didascalismo si sprecano in dialoghi di scarso spessore che rendono artificiose e talvolta superflue le interazioni tra gli stessi personaggi (in particolare gli scontri dialettici tra posizioni filosofiche o politiche opposte); quasi mai infatti i protagonisti vengono trattati con una profondità sufficiente da risultare efficaci, limitandosi a rivestire ruoli che stanno evidentemente stretti agli interpreti e che lasciano spazio solo a schemi già visti e maschere ridondanti; senza contare quella “comune” caricata di immagini e caratteristiche di altre epoche future (con riferimenti un po’ grotteschi agli hippy anni 70 o ai vegani contemporanei). Il desiderio del regista di riscoprire ancora una volta storie nascoste e dargli un’aura moderna e profetica resta sepolto sotto le troppe pecche che il film si porta dietro. Di certo nobile l’intento, decisamente modesto il risultato.
Maria Letizia Cilea