Il Festival di Cannes che si è aperto pochi giorni fa (la 71ma edizione si svolge dall’8 al 19 maggio) ha fatto discutere, prima ancora che iniziasse. La polemica, molto vivace, è stata sull’esclusione dei film prodotti da Netflix dal concorso principale dal momento che tali titoli non prevedono il passaggio nelle sale (francesi). Per rappresaglia, il colosso americano ha negato anche un film fuori concorso.
Contro la decisione del direttore Thierry Fremaux si sono scagliate molte proteste da appassionati e addetti ai lavori. Che si possono sintetizzare così: non si può negare realtà, Netflix ormai è una realtà diffusa in tutto il mondo e ormai nelle case le visioni private sono di qualità altissima («mica come quei cinema indecorosi» sostengono, a torto); soprattutto, non si può tornare indietro… Una polemica pretestuosa e forse non così schiettamente “libertaria” come si cerca di farla passare. Intanto, Netflix poteva serenamente accettare la vetrina fuori concorso (lo scorso anno impose due titoli in gara, e nessuno dei due la meritava). E invece no, vogliono tutto, anche i premi… La cosa curiosa, a dir poco, è che tra tanti addetti ai lavori o appassionati di cinema, si fa sempre più il tifo per la piattaforma web che auspica che tutti i festival (la Mostra di Venezia al contrario non vuole porsi alcun limite di scelta) possano promuovere i propri prodotti… Bene, questa è la legittima posizione dell’azienda. Sicuramente meritoria nell’investire parecchio sul produrre film o distribuirli in tutto il mondo (una piccola polemica è sorta anche in Italia per Rimetti a noi i nostri debiti di Antonio Morabito, primo film italiano che ha preferito la distribuzione in Rete a livello mondiale con Netflix piuttosto che pietire poche settimane nei cinema nazionali come avviene spesso ai film d’autore). E non bisogna avere pregiudizi su nessuna iniziativa commerciale. Iniziative che sicuramente possono anche convenire ad autori e produttori.
Ma al Cinema, inteso come sistema di sale e come modello complessivo, cosa conviene fare? E per gli spettatori che amano questo luogo per alcuni antiquato (chi non ci va, in genere…), ma per tanti altri ancora vivissimo e vivace, cosa è augurabile? Non si può essere ingenui su questo punto: il modello di business di Netflix punta a scardinare quello attuale, che parte dalle sale cinematografiche e poi, con una distanza variabile da Paese a Paese, vede i prodotti audiovisivi passare dall’home video (e, ora, appunto le piattaforme di streaming legale), dalle tv on demand, dalle pay tv alle tv gratuite. Netflix propone il “tutto e subito”: con i film che produce può evitare le gabbie temporali, le cosiddette “windows”, che le vengono imposte – queste sì illogiche e assurde: due anni in Italia, alla pari delle tv generaliste, e addirittura tre nella Francia iper protezionista – e mandarli “in onda” in esclusiva, senza prevedere appunto il passaggio nei cinema. Ma sul lungo periodo, per affermarsi definitivamente (anche per gli altissimi investimenti su produzioni e acquisto dei contenuti altrui da distribuire) il vero obiettivo è appunto sostituirsi a questo modello. Sarebbe economicamente terrificante (si rischia di spazzare via le sale, oltre tutto ad oggi fondamentali per l’equilibrio del sistema) e socialmente orribile: quando saremo tutti rinchiusi nelle nostre case, addio esperienza di confronto e socializzazione.
Scenari apocalittici? Non ci sembra, le mosse vanno tutte in quella direzione. Bene ha fatto Cannes a dare un segnale (peraltro parziale, solo per la gara). Ma se ne parla da tempo anche a Hollywood: e ancora più importante sarebbe se gli Oscar, come ha proposto Steven Spielberg, escludessero chi, evitando il passaggio nelle sale, qualifica come prodotto “casalingo” il proprio film. Negli Usa accanto agli Oscar ci sono gli Emmy, importantissimo premio che valuta serie tv e tv movie. E infatti c’è anche chi chiede più spazio per loro, nei festival – e già avvengono anticipazioni di alcune – e nei premi cinematografici visto che, sostengono, «sono ormai di livello altissimo, “cinematografico” se non meglio»: ma che senso ha? Sono prodotti con destinazioni diverse, e quindi competizioni differenti… Certo, può fare impressione considerare film per la tv alcuni dei film prodotti da Netflix (che sta anche producendo il nuovo film di Martin Scorsese: farà un’eccezione per questo grande maestro, così amante del grande schermo ?), ma se la sala cinematografica viene esclusa a priori come destinazione di un’opera e si concepisce la sua fruizione solo tra le quattro mura di casa, qualsiasi schermo diventa per sua natura televisivo (peraltro ormai la Rete sta occupando, con le smart tv, gli schermi più importanti di casa). Fra l’altro, per gli Oscar bastano pochi giorni in sala per accedere alla competizione, un veloce passaggio non dovrebbe mettere in crisi Netflix, che se non avesse intenzioni ostili “ragionerebbe”come Amazon. Che produce altrettanto (e forse finora anche meglio: erano suoi, per esempio, Manchester by the Sea, The Big Sick e gli ultimi film di Woody Allen) ma prima per la sala e poi per le altre “finestre” di sfruttamento. E senza esclusive: per fornire davvero le più ampie possibilità ai film, come sostengono Netflix e i suoi sostenitori, la cosa migliore è lasciare libertà totale di circolazione tra piattaforme (il modo Netflix invece al momento è “chiuso”: solo gli abbonati possono vedere i loro titoli). E semmai trattare in ogni nazione perché tali finestre, oggi inadeguate, siano ridisegnate
La cosa incredibile è che chi si occupa di cinema a vario titolo, stampa in primis (ma anche molti produttori e perfino registi) iniziano a non considerare più la sala cinematografica come luogo principale, e primo in ordine cronologico, cui destinare un film. Non è una battaglia ideologica quella in atto, ma di salvaguardia di un’esperienza – chi afferma che è meglio vedere un film a casa, in genere, è perché non mette piede in un cinema da anni – che è la migliore per lo spettatore, per apprezzare le qualità di un’opera, ma anche dal punto di vista economico: il sistema “a finestre” successive genera valore progressivo; smantellarlo perché un solo “step” sia remunerativo, oltre a configurare possibili e pericolosi scenari di monopolio, rischia di intaccare pesantemente le fondamenta finanziarie del sistema, già colpite da altri fenomeni (la crisi economica e la pirateria su tutti). Certo, si potrebbe dire che l’importante è vedere film, in qualsiasi modo ciò avvenga. E non ci nascondiamo, ovviamente, i problemi che esistono nel settore e la necessità di inventare nuovi modelli o migliorare quelli esistenti. Ma se si colpisce quello attuale senza proporne uno altrettanto vantaggioso per tutti (e non solo per uno, o per pochi), di film se ne produrranno sempre meno. La speranza è che dagli scontri nascano sani compromessi (non si tratta di limitare nessuno, tanto meno un soggetto come Netflix che investe appunto tantissimo sull’audiovisivo), in cui ognuno ottenga qualcosa in vista della salvaguardia generale: del sistema, dei film e di chi li realizza, e anche degli spettatori. Ma deve essere chiaro che la battaglia è per la vita del Cinema in quanto tale.
Antonio Autieri