Joe (Marco Paolini), Carlo (Giovanni Storti), Bobo (Giorgio Tirabassi) e Giacomo (Neri Marcorè) negli anni 70 erano la rock band “The Boys”, un complesso quasi di culto per gli amanti del rock. Con loro c’erano anche Luca, fratello di Giacomo, e la cantante Anita (Isabel Russinova), ma la morte del primo e il ritiro della seconda hanno causato la scomparsa del gruppo dalle scene, anche se i quattro si ritrovano tutte le settimane a suonare i loro vecchi pezzi nel locale di Giacomo. Quando un cantante trap sulla cresta dell’onda decide di citare un loro vecchio pezzo in una sua canzone, si riaccendono vecchi orgogli e tensioni, uniti al dover fare un viaggio alla nuova residenza di Anita, per recuperare una sua delega per il contratto.

E qui, scusate, ma a chi scrive purtroppo non basta la sospensione dell’incredulità. Perché in un film si può tranquillamente credere ai draghi e alle bacchette magiche, a una voce che ti parla dall’alto dei cieli, anche agli asini che volano, se tutto si tiene. Ma credere che quattro benestanti non più giovani (e qualcuno con anche problemi fisici), scelgano di andare da Torino a Capracotta (850 chilometri) su un pulmino Volkswagen degli anni 60 che a stento arriva a 90 km all’ora, e in salita (Capracotta, lo dico per chi non conosce la splendida località molisana, sta a 1421 metri sul livello del mare) raramente raggiunge i 40, beh, scusate, ma questo è veramente fantascienza, date retta a uno che in gioventù ci ha passato parecchio tempo ed è ben contento di usare ora auto più comode e veloci.

E oltre a questa scelta che dimostra come gli autori abbiano avuto una gioventù comoda e tutt’altro che rock, la storia della vecchia band che si riunisce non è nuova: era stata raccontata con ben altra verve e successo nella commedia inglese Still Crazy del 1998. Purtroppo qui non basta ripescare i soliti argomenti legati all’età (i giubbotti di pelle, la prostata, le disavventure sentimentali, i divorzi, i debiti e – non ultimo – il pulmino Volkswagen) per ricreare un’atmosfera attrattiva. Gli attori sono bravi, e le musiche di Mauro Pagani (già violinista della PFM) sono orecchiabili e con testi piacevoli, ma si fa un po’ fatica a capire a quale pubblico sia indirizzato il film di Davide Ferrario: i sessantenni nostalgici degli anni 70 probabilmente hanno poco interesse in una vicenda che ricorda i problemi fisici e le ingenuità del tempo; i più giovani di certo non si entusiasmano davanti alla solita retorica della bellezza dei tempi passati, piena di ideali, al contrario del presente dove sono i soldi a farla da padrone, e i cantanti trap sono dei decerebrati capaci solo di vantarsi della loro ricchezza (o riccanza che dir si voglia).

Quattro attori di valore, con la novità di vedere Paolini in un ruolo decisamente insolito, o Giovanni Storti (sempre bravissimo invece nel cliché del precisino) e belle canzoni, non bastano insomma a far decollare una commedia piacevole, ma cui manca sempre qualcosa che la faccia salire di livello.

Beppe Musicco