Adattato dal romanzo di Camille DeAngelis del 2015 da David Kajganich, consueto collaboratore di Luca Guadagnino (che ha anche scritto A Bigger Splash e Suspiria), Bones and All si presenta con molte facce: a volte come un romanzo di formazione dai toni lirici, in altre sequenze come un pittoresco “road movie” (la cinematografia sgranata e screziata dal sole di Arseni Khachaturan è spesso affascinante); ma per la maggior parte del tempo è un film horror, decisamente sopra le righe e con surrettizie velleità sociopolitiche (in un cameo di un filmato d’archivio appare pure un famoso ex sindaco di New York che nega la validità delle ultime elezioni presidenziali).

Le seducenti scene di apertura ricordano lo stile estetizzante di Chiamami col tuo nome: siamo in una piccola città americana negli anni 80; la liceale Maren Yearly (Taylor Russell) è un classico modello di goffaggine legata alla giovane età, una ragazza che vuole uscire dal suo guscio di timidezza ma ha bisogno di una piccola spinta. Quando una delle compagne di classe la invita a un pigiama party, le si presenta l’occasione perfetta per superare le sue paure adolescenziali.

Ci sono alcune cose che insospettiscono però, come il modo in cui Maren si trova un po’ troppo a disagio con la sua amica, o il momento in cui il padre di Maren, Frank (André Holland), chiude a chiave la porta della sua camera da letto, come se la figlia fosse un animale selvatico. L’atmosfera calma e tranquilla cambia davvero quando Maren esce di soppiatto per recarsi al pigiama party, con una sorta di furtiva istintività. Quando arriva a casa dell’amica, trova ragazze vivaci e dalla sensualità che Guadagnino come sempre ama rappresentare. Non sorprende, quindi, vedere Maren che si mette in bocca il dito dell’amica… almeno finché lo divora fino all’osso. Perché Maren è una persona normale sotto tutti gli aspetti, tranne che per la sua smania di mangiare carne umana. Per gran parte della sua vita lei e suo padre sono stati itineranti, dal momento che il genitore (che evidentemente sapeva) non poteva prevedere quando sarebbero emersi i bisogni famelici della figlia. Inizialmente sembra che ci venga presentata la storia di un padre che si sposta di luogo in luogo con la mostruosa ma amata figlia, per poter ogni volta ricominciare da capo. Ma Frank esce rapidamente dal gioco; come spiega in una registrazione su una audiocassetta che le lascia sul tavolo, il peso degli appetiti di Maren è troppo da sopportare, anche per un amorevole padre. La abbandona lasciandole dei soldi e il suo certificato di nascita, in modo che possa da sola trovare la madre da tempo assente e dalla quale sembra aver ereditato le sue brame cannibali.

Il lungo primo incontro di Maren con un altro “mangiatore”, Sully (Mark Rylance), ha l’aspetto di una specie di dramma teatrale dell’assurdo, mentre le sue frequenti avventure con il cattivo ragazzo cannibale più vicino alla sua età e dalle le abitudini bisex, Lee (Timothée Chalamet), ha un tono emo-romantico che vorrebbe essere un ritratto dell’angoscia adolescenziale (reale o metaforica) con una miscela che però risulta strana e poco efficace: né la Russell né lo Chalamet vestito da punk straccione fanno molto di più che parlarsi gentilmente e mettersi in posa in modo da essere attraenti, anche quando sono coperti dalla testa ai piedi di schizzi di sangue, sebbene quest’ultimo mostri lampi di quella spavalderia già mostrata in Chiamami col tuo nome, come quando si agita e danza, dopo il fiero pasto, al suono del rock di Lick It Up dei KISS.

Entrambi i protagonisti accusano però il confronto con gli attori più anziani che tendono a rubar loro la scena: Michael Stuhlbarg, che interpreta un antropofago inverosimilmente giocherellone, accompagnato da un’altra figura stravagante interpretata dal regista David Gordon Green. Un’eccentrica Chloë Sevigny fa capolino per una sequenza cruciale, mentre Jessica Harper (già in Suspiria), come una vecchia di periferia rivela un legame segreto con Maren. Ma è Rylance il principale imputato, recitando in modo impressionante un predatore dall’abbigliamento bizzarro che sembra uscito da un’inedita e inquietante fiaba dei fratelli Grimm.

Due premi a Venezia (coppa Marcello Mastroianni come miglior attrice emergente a Taylor Russell e Leone d’Argento per la Regia a Guadagnino), il film è più volte stato presentato come una ricca metafora della condizione giovanile e del sentirsi differenti in una società conformista. Molto più prosaicamente, ci sembra che sia un pregevole esempio di film horror, con un bel cast e un’ottima fotografia, ma pur sempre un film di genere.

Beppe Musicco

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