Connesso all’universo Marvel (la storia ricomincia a pochi giorni dagli eventi narrati in Avengers – Civil War), Black Panther fa della sua “unicità” una bandiera, con un cast quasi totalmente black (salvo il sempre efficace Martin Freeman nei panni del qui anche eroico agente Ross e Andy Serkis in quelli del cattivissimo trafficante di armi Ulysses Klaue), mentre la regia è affidata a Ryan Coogler (anche sceneggiatore insieme a Joe Robert Cole), già autore del riuscito Creed. Il risultato è una pellicola avvincente, emozionante e decisamente riuscita anche sul piano visivo, capace di costruire un mondo e di andare a fondo dei personaggi, regalando una vicenda compiuta, ma lasciando anche spazio alla possibilità di nuove avventure in un luogo che unisce le meraviglie della scienza alla dimensione antica e spirituale della cultura africana, accosta natura e tecnologia senza che una distrugga l’altra, allo stesso modo in cui sottolinea il valore della tradizione ma invita ad aprirsi all’altro.
Così lo stand alone dedicato al principe di Wakanda (il fumetto nasce nel 1966, nel pieno delle lotte per i diritti civili), pur entrando a pieno diritto nel genere dei cinecomic e abbracciando per molti versi lo stile Marvel (non mancano momenti di alleggerimento e un tocco di romanticismo, ma la morte di un padre e la messa in discussione della sua eredità sono trattate per esempio con più gravitas e coinvolgimento che nel recente Thor Ragnarok) ha una compattezza ed efficacia che lo rende godibile per un pubblico ampio. Questo nonostante la scelta chiara di rivolgersi prima e innanzitutto al pubblico afroamericano, la cui cultura viene valorizzata anche andandola a impiantare in un immaginario punto d’origine, luogo di magia e potere e promessa di una rinascita futura.
Ma la forza principale del film sta nel modo in cui sono tratteggiati (e interpretati) i personaggi. Non solo il protagonista T’Challa (l’affascinante Chadwick Boseman), principe che deve affrontare la prova del diventare re sconfiggendo non solo un nemico potente e determinato (un antagonista con alte motivazioni sociali e politiche a cui dà corpo e voce l’ottimo Michael B. Jordan), ma anche facendo i conti con una figura paterna amata, ma non priva di difetti. Il suo viaggio dell’eroe è ben articolato e accanto a lui le figure di consiglieri, amici, amanti e aiutanti si moltiplicano senza sovrapporsi creando un insieme riuscito e funzionale.
La regia esplora con piacere il mondo di Wakanda, alterna scene di azione ottimamente coreografate con momenti più emotivi e di calore, dando spazio anche alle figure femminili, prima tra tutte la Nakia di Lupita Nyong’o, un’agente sul campo con ardenti ideali sociali a cui vorrebbe convertire il più pacato principe T’Challa a cui la lega anche un forte sentimento. Il tema dell’apertura all’altro, della responsabilità individuale e collettiva, che si oppongono alla violenta ideologia dell’antagonista (che pure ha profonde e credibili motivazioni) sono elementi ulteriori che danno consistenza e rilevanza a un film che senza mai rinunciare alla sua vocazione di intrattenimento d’alto livello riesce a soddisfare le esigenze anche di un pubblico più sofisticato.
Luisa Cotta Ramosino