Nel 1988 Clint Eastwood, chiarendo in un’intervista l’origine del suo tredicesimo film Bird, affermò deciso: «Gli americani non hanno creato che due forme di espressione veramente originali: il western e il jazz». Tuttavia, se da una parte tutti conoscono perlomeno le tappe fondamentali che elevarono Clint a stella del western, meno noto ai più è invece il suo scavo registico, film dopo film (si prendano Honkytonk Man del 1982 e il documentario Piano blues del 2003), dell’anima musicale americana.
Tra le menti più note e contraddittorie di questa storia, Eastwood ci racconta quella di Charlie “Bird” Parker, il sassofonista che, morto appena trentaquattrenne per un infarto conseguente ad eccessi di alcool ed eroina, rinnovò il jazz negli anni 40 ed è tuttora considerato (accanto a Dizzy Gillespie) il padre fondatore del bepop. Frammentando la narrazione presente con una continua operazione di flashback, Clint Eastwood ci presenta i passaggi salienti della parabola artistica di Bird e il suo male di vivere, dovuto all’evasione folle come unica risposta alla solitudine in cui lo annega il successo. Si vengono così a costituire i due mondi distinti della musica ricca di note gioiosamente vibranti da una parte – e solamente alla musica è concessa la linearità all’interno di una narrazione disgregata, specchio del mondo – e quello dannato delle strade, delle relazioni umane, delle droghe dall’altro. Un’ombra dell’anima che nemmeno la mano tesa della moglie Chan riesce a dissipare.
Il dramma umano di Bird è evocato anche dall’ambiente sempre notturno (simbolicamente al giorno sono riservate le sole scene dei funerali) e dalla scurissima fotografia di Jack N. Green che curerà le luci di molti dei film successivi di Clint. Così a creare colore e vita vera resta solo l’arte della musica nella quale Charlie Parker ha sempre plasmato la possibilità di esprimere ogni soffio del cuore. Questo affascinò Clint Eastwood, questo potrebbe affascinare noi.
Un ultimo accenno merita la performance di Forest Whitaker, voluto fortemente dal regista per incarnare Bird: nel film che avrebbe segnato la sua consacrazione come interprete, Whitaker è fenomenale nel prestare il suo corpo a sintesi dei malori fisici del jazzista e del suo allegro istrionismo. La didascalia finale recita: «Dedicato ai musicisti di ogni parte». Per questi il film è imperdibile, per gli altri è comunque consigliato.
Andrea Puglia