Billy era un bambino prodigio, a nove anni aveva inventato e condotto un podcast musicale di successo. Ora ha 19 anni, vive con l’eccentrica madre in un paese del Nord Italia da cui non si può che voler scappare, è segretamente innamorato di una ragazza che non sembra accorgersi del suo amore, passa i pomeriggi a giocare con bambini – che sembrano coetanei – e non sa cosa fare della sua vita. L’incontro con Zippo, il rocker suo idolo d’infanzia che da anni aveva fatto perdere le sue tracce, porta una ventata di novità nella sua vita e nella fin troppo tranquilla cittadina di provincia.
L’incipit misterioso di Billy, con un gioco che si conclude con la fuga del padre, apre il cuore: quell’assenza ha inciso moltissimo sulla crescita di un ragazzo profondo e malinconico. E l’arrivo del cantante, che è a sua volta un padre con troppi figli sparsi in giro, lo riapre a una dimensione desiderata e persa da tempo, che si affianca ai tentativi di iniziare una storia seria con la ragazza di cui è innamorato e di prendere in mano la sua vita. Billy è un protagonista ben disegnato, pieno di sfumature (è deciso su alcune questioni immediate, per esempio nel rapporto con la madre, e irrisolto su di sé e sul futuro) e caratterizzato dai suoi attacchi di panico. Il tono generale ricorda vagamente le opere del padre della regista esordiente Emilia Mazzacurati: Carlo Mazzacurati, scomparso troppo presto nel 2014, ha segnato il cinema di alcuni decenni dalla fine degli anni 80 con i suoi film e i suoi personaggi gentili e fuori posto nel mondo. La figlia è ancora acerba e la sceneggiatura è fin troppo esile, con momenti in cui succede pochissimo e la storia arranca. Ne risulta un affresco poco convincente di un paese di provincia uguale a tanti altri (ma che guarda anche al cinema indipendente americano), con personaggi un po’ scontati come la madre sciroccata e dall’innamoramento facile, il pompiere gentile, il rocker sciupa femmine in fuga dalla celebrità e da sé stesso. Qualche momento strappa il sorriso, ma tutto scivola via senza farsi ricordare, senza contare i dettagli poco credibili (i podcast erano già diffusi dieci anni fa, quando si presume che usasse questo strumento il piccolo Billy?)
La dote migliore del film è l’affetto che genera per i vari personaggi, grazie anche ad alcuni attori importanti del cast – Carla Signoris, Alessandro Gassmann, Sandra Ceccarelli e gli amici di papà, Giuseppe Battiston e Roberto Citran – che regalano umanità e simpatia ai loro personaggi, anche se non brillano per originalità. Più sorprendenti gli attori giovani, su cui spicca l’ottimo protagonista Matteo Oscar Giuggioli, che ha il candore giusto per il ruolo e che avevamo apprezzato in Gli sdraiati di Francesca Archibugi; e pure Benedetta Gris si fa notare. Anche il finale lascia un retrogusto amaro: rafforza l’impressione di una storia con temi forti (padri in fuga dai figli, figli desiderosi di un “padre”, mamme bambine e bambini adulti) che però non riesce a imprimersi nella memoria, anche se i personaggi – a cominciare da Billy, ma anche il bambino che non vuole parlare – sono riusciti a farsi strada nel nostro cuore. Speriamo di ritrovare Emilia Mazzacurati, cui non mancano qualità registiche, alle prese con storie più solide, magari facendosi affiancare da altri sceneggiatori.
Antonio Autieri
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