Il terzo giorno di festival di Berlino regala un paio di belle sorprese e non solo nella sezione principale, a partire dalle Persian Lessons di Vadim Perelman (sezione Berlinale Special Gala), che ambienta sullo sfondo dell’Olocausto una storia che è una meditazione sul significato del linguaggio e sulla fiducia. 1942: Gilles, giovane ebreo belga (lo straordinario attore argentino Nahuel Pérez Biscayart visto anche ne El profugo), viene catturato e rischia di essere immediatamente giustiziato, ma si salva rocambolescamente facendosi passare per persiano grazio ad un libro appena “acquistato” da un compagno di sventura in cambio di un pezzo di pane. Fortuna vuole che uno degli ufficiali del campo di prigionia cui è destinato, Klaus Koch (il tedesco Lars Eidinger), responsabile delle cucine, voglia imparare il Farsi per trasferirsi a Teheran dopo la guerra. Gilles dovrà così inventarsi da zero una lingua da insegnare al carceriere. Se il rapporto tra prigioniero e ufficiale, basato su un inganno di cui la vittima sembra a tratti complice, è certamente il lato emotivo e tematico del film, attorno ai due si muove un microcosmo di personaggi profondi e credibili con toni che riescono a mantenere un miracoloso equilibrio tra dramma e ironia. Perelman in particolare ha voluto approfondire le dinamiche sentimentali e di potere tra i membri del “personale” del campo, uomini e donne che anche in questa tragedia non perdono le loro caratteristiche umane fino alle più meschine. Un’umanizzazione che paradossalmente non serve a giustificare ma costringe a riconoscere che i carnefici di allora non sono poi così lontani da noi.
È in concorso invece First Cow di Kelly Reichardt, insolito western che racconta una storia di amicizia, quella tra un timido cuoco, Fogowitz, e l’intraprendente cinese King-Lu. Il primo aiuta il secondo quando lo trova nudo e affamato nella foresta, l’altro avrà modo di ricambiare accogliendolo nella sua casa vicino a un forte dove convengono i traffici di cercatori d’oro, cacciatori di castori e semplici avventurieri. In questo posto di frontiera dove sembrano contare solo le esigenze della sopravvivenza, i due si inventeranno un proficuo commercio di biscottini. Peccato l’ingrediente segreto della ricetta sia il latte che nottetempo e di nascosto mungono dalla preziosa vacca (la prima mucca del titolo) di proprietà del primo cittadino… Anche quando le cose volgono al peggio, però l’insolita alleanza tra i due resisterà. La Reichardt, che viene dal documentario, costruisce un apologo sensibile e convincente attorno a due esseri umani a loro modo eccezionali e parlando di un sentimento, l’amicizia maschile, ultimamente poco praticato dal cinema. Se il western è stato per lungo tempo il genere americano per eccellenza, qui la regista, che si appoggia a un romanzo, trova una chiave nuova ed efficace per raccontare la vita della frontiera, con le sue sfide e le sue ingiustizie (nativi e outsiders restano tagliati fuori dalle dinamiche del potere), il mito delle opportunità, le illusioni, lo sfruttamento selvaggio e miope delle risorse.
Sempre in concorso è passato anche Le sel des larmes di Philippe Garrel. Girato in un elegante bianco e nero, è una sorta di educazione sentimentale che ricorda per certi versi i film di Rohmer. Il giovane Luc è in cerca dell’amore ma poi ogni volta sembra finire per tradirlo e non riesce a rimanere fedele né ai sentimenti per le donne che incontra né al rapporto con il padre. La sua storia sembra sospesa un po’ fuori dal tempo (non a caso i cellulari compaiono poco, anche se il tempo è certamente l’oggi, come conferma la multietnicità del mondo in cui il giovane si muove). Le regole delle relazioni, che Garrel racconta in capitoli scanditi da una voce fuori campo, sono confuse e più di tutto sembra dominare la meschinità che ferisce e finisce per condannare a un vuoto senza speranza.
Laura Cotta Ramosino
Nella foto: Persian Lessons di Vadim Perelman