La politica e il Quirinale sono un lontano ricordo per Giuseppe Garibaldi detto Peppino, eletto a sorpresa suo malgrado 8 anni prima e passato come un breve ma squassante tornado sulla Roma dei Palazzi del potere. Ora vive felicemente nel suo paese di montagna con la moglie Janis – strappata al suo lavoro nello staff presidenziale – e con la loro figlia chiamata Guevara. Arrivano le elezioni che potrebbero cambiare l’Italia, ma a lui non interessano per nulla (non va nemmeno a votare), come racconta a una troupe tv. Janis però sente la mancanza della vita di prima e, richiamata al Quirinale, prende la figlia e se ne va a Roma, lasciandolo nello sconforto. Dopo un periodo di depressione, Peppino si lancia a Roma per riconquistarla. E quando i due partiti che hanno vinto le elezioni, in cerca di un presidente del Consiglio “burattino”, scelgono lui come premier, ne approfitta: da Palazzo Chigi al Quirinale il passo è breve, e da lì può riconquistare la donna amata. Ma intanto dovrà prima fingere di governare, assecondando due vicepremier inesperti che lo vogliono manovrare per aumentare i consensi, poi affrontare di nuovo intrighi, corruzioni e malcostume generale.

Bentornato Presidente, sequel di Benvenuto Presidente! che nel 2013 si inserì nel periodo di elezioni che scombussolarono la Seconda Repubblica in crisi, vede stavolta alla regia la coppia formata da Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi (che si erano fatti notare un anno fa con Metti la nonna in freezer) al posto di Riccardo Milani. Primo problema: se il precedente episodio mescolava l’aspetto politico – con un bel po’ di qualunquismo, forse anche più delle intenzioni, e di critiche a tutta la “casta” – con un incongruo lato sentimentale che prendeva man mano il sopravvento, qui i film sono almeno tre. Si riparte dal lato sentimentale con la famigliola felice in montagna, che tanto felice non è; si passa poi alla satira politica da instant movie (i due vicepremier sono ricalcati senza alcuno spazio alla fantasia su Di Maio e Salvini, l’oppositore democratico ottuso è evidentemente Renzi) che si alterna al già citato lato sentimentale, con stucchevoli schermaglie tra i coniugi in crisi e scenate di gelosie; infine si scivola in un’assurda spy story (anche nel primo film qualcosa c’era, ma qui si cade nel ridicolo) con poteri forti internazionali che complottano – con la complicità di una “talpa” delle istituzioni – per far soldi alle spalle dell’Italia. E c’è anche stavolta l’apologo dell’uomo onesto che cerca di cambiare l’Italia da sola, con soluzioni “geniali” e appelli a reti unificate alle coscienze di tutti i concittadini (pagare tutti le tasse per pagarle meno…).

Il tutto alla fine, nonostante qualche scena azzeccata (ma anche alcune imbarazzanti, come la scena di “seduzione” di Bisio con il consulente infido), è un confuso pasticcio nonostante la bravura di alcuni attori di “contorno” (come Pietro Sermonti, Ivano Marescotti o Antonio Petrocelli che interpreta un omonimo presidente della Repubblica tanto parco di parole quanto arguto: «La qualità che deve avere un buon Premier: lavorare per non essere rieletto»), mentre Claudio Bisio ha l’impresa ostica di rendere credibile un personaggio impossibile e Sarah Felberbaum sostituisce in modo poco convincente Kasja Smutniak nel ruolo dell’algida Janis.

C’è da dire che – tra tutti gli spunti – quelli che sembravano più deboli sulla carta, ovvero quelli strettamente politici, alla fine sono quelli che funzionano di più. Sì, il ricalco è esasperato e un po’ goffo (e innervosirà i fans dell’una o dell’altra fazione), ma le uniche risate del film le strappano gli slogan vuoti di Danilo Stella (Guglielmo Poggi), giovanissimo leader del “Movimento  Candidi” tanto elegante quanto ignorante, le urla continue a favore di telecamere e social di Teodoro Guerriero (Paolo Calabresi) a capo di “Precedenza Italia”, la spocchia di Vincenzo Maceria (Marco Ripoldi) leader contestato di “Sovranità Democratica”; e se tattiche e manovre dei “nuovi” al potere sono mostrate anche con una certa arguzia (a tratti inquietante: i Consigli dei Ministri che approvano solo leggi inutili), le continue riunioni sfibranti del litigiosissimo partito di opposizione, con divisioni su singoli aggettivi, sono forse la cosa più esilarante del film. Ma, a parte la deriva finale melensa, c’è un problema di fondo (oltre al fatto che il “premier” manovrato è una feroce critica all’attuale presidente Giuseppe Conte, ma poi il suo alter ego Peppino Garibaldi è il solito “Candido” visto con grande simpatia): è difficile essere credibili nel prendere in giro, oltre al litigioso PD, i due vincitori delle ultime elezioni che governano l’Italia in questo tormentato 2019 se pensiamo alla tesi di fondo del primo film, cui il seguito non si discosta poi di molto. Cioè l’idea, appunto demagogica, che i “professionisti” sono magari intelligenti e abili ma sempre disonesti (alè…). E che chiunque dotato di buon senso potrebbe governare – con un po’ di buona volontà – questo grande e sfortunato Paese, se solo i concittadini lo seguissero. Troppo semplicistico, anche per una commedia leggera.

Antonio Autieri