Ancora Jesse e Celine, per la terza volta. Nel 1995 Prima dell’alba era un piccolo film indipendente dell’emergente regista Richard Linklater (nei primi film si segnalava per abbondanza di dialoghi molto intellettuali di giovani brillanti e confusi), che senza clamori divenne un cult romantico e generazionale, amato da molti cinefili ma anche detestato da altri. Parlatissimo, metteva in scena il “breve incontro” di due ragazzi di poco più di vent’anni che si incontravano in treno in Europa – lui americano, lei francese – e decidevano una deviazione: una giornata da passare insieme a Vienna, a confidarsi storie, sentimenti e progetti per il futuro, e a vivere un piccolo flirt. Poi ripartivano, con la promessa di rivedersi. A incarnarli, due giovani e bravissimi attori come Ethan Hawke e Julie Delpy, perfetti nel rendere dialoghi a volte profondi e altre volte irritanti, con il candore e la presunzione tipica di quell’età di chi già crede di sapere cosa sia la vita.

Sempre Linklater, quasi dieci anni dopo, rimetteva i due attori insieme nel sequel: Before Sunset – Prima del tramonto, in cui i due personaggi si rivedevano a Parigi e passavano insieme un’altra giornata; anzi molto meno, un’ora e mezza scarsa di film in tempo reale in attesa di un aereo da riprendere per l’America da quel 35enne ormai diventato scrittore di successo, che aveva raccontato la loro storia in un romanzo. E nel secondo episodio, poco folgorante e di limitato successo, le chiacchiere diventavano però meno in libertà: i due si raccontavano idee sulla vita ma anche la vita stessa, che iniziava a farsi sentire, con i duri colpi di relazioni in crisi o ormai appiattite. Un’altra breve parentesi, per loro due, o qualcosa di più? Due personaggi ormai pienamente identificati con Hawke e la Delpy, che stavolta collaborarono a scrivere sceneggiatura e dialoghi.

Come è avvenuto, ancora di più, nel terzo episodio: in Before Midnight, in cui ormai sono diventati una coppia (dopo il divorzio di lui) con tanto di due figlie gemelle, i due vivono gli sgoccioli di una splendida vacanza in Grecia. Ma la partenza del figlio adolescente di lui, che torna in America dalla madre con cui Jesse è in pessimi rapporti, scatena nell’uomo – che ormai vive con la nuova famiglia in Francia – sensi di colpa per un figlio di cui sta perdendo gli anni della crescita. La soluzione ci sarebbe, trasferirsi tutti a Chicago: ma Cecile non ci sta. La sua vita è in Francia, e ora sta per iniziare un lavoro in cui crede molto: perché perdere tutto? Piuttosto, provoca lei, ci separiamo…

Il film è tutto giocato, ancor più che i due precedenti e più “lievi episodi”, su una tensione crescente e a rischio di diventare distruttiva: ci sono ancora lunghi dialoghi apparentemente vacui e a tratti anche cinici, in particolare in una lunga scena a tavola con amici che hanno allietato la loro vacanza greca (ma ci sono anche, sparsi, tocchi di sensibilità). Ma la vita è diventata sempre più dura per i due ex ragazzi, e oltre ai primi segni sul volto e sui corpi ha lasciato ferite e cicatrici sull’anima. E ogni tanto, ci sono silenzi carichi di significato che hanno il sopravvento sulla loro naturale propensione a riempire ogni istante di parole, battute, elucubrazioni, battibecchi…

Non sveleremo cosa succede tra i due, anche se il finale ci pare ancora aperto a una prosecuzione della storia. Ma al terzo episodio la trilogia – che non era prevista, all’inizio, ma si è formata per il piacere di regista e protagonisti di lavorare ancora insieme e dare altre occasioni ai personaggi – prende una forma più significativa, seppure abbiamo il sospetto che arrivi fuori tempo massimo. Vent’anni fa Linklater sembrava un giovane Rohmer americano, più vicino al cinema europeo che a Hollywood (dove pure ha realizzato il suo film migliore: il divertente School of Rock con Jack Black), e quel tipo di film spopolava nei cinema d’essai. Già il secondo episodio ebbe una diffusione più limitata, e il terzo forse si rivolgerà solo agli affezionati fans della storia. Ed è un peccato, perché se la vicenda ha preso una piega più tradizionale – quanti film abbiamo visto sul difficile rapporto tra un uomo e una donna che si amano e al tempo stesso litigano furiosamente? – è anche diventata più umanamente interessante.

L’abilità del regista di condurre lunghe scene in piano sequenza, degli attori di recitare lunghissimi dialoghi e di tutto il terzetto di aver composto un film che è frutto di lunga preparazione quasi teatrale è ammirevole e indiscutibile. Ma quel che rimane più impresso è altro: è la vita che ora ha preso il sopravvento sulle parole, che pure, la vita, riescono a raccontare in pieno (non si vede altro che persone che parlano, in questo film), a volte dissezionandola fino a renderla incomprensibile, ma sovente regalando squarci sulla tristezza delle incomprensioni, dei rimorsi, delle contraddizioni reciproche, in cui sembra non insinuarsi mai una prospettiva, una via di fuga dai propri limiti. Condizioni personali che sembrano avere un corrispettivo nelle immagini della Grecia, quasi un terzo protagonista della storia, terra così simbolica in questo film perché è un simbolo – a una lettura discreta ma non forzata – dello sfascio dell’oggi ma anche segno di una bellezza perduta. Quanto a Jesse e Cecile, alla fine ci appaiono più tristi di vent’anni prima, ma più sinceri e meno presuntuosi. Più veri, insomma, e capaci di intenerirci per le loro debolezze e di incuriosirci finalmente per la strada che prenderà la loro vita.

Antonio Autieri