Dopo l’esordio con Man of Steel, Zack Snyder torna a raccontare il mondo dei supereroi della D.C. Comics nel primo vero tentativo di creare un vero e proprio universo per quei personaggi analogamente a quanto realizzato con strabiliante successo dalla Marvel. E per non sbagliare, oltre ai due supereroi del titolo, trova il modo di lanciare anche Wonder Woman cui dedicherà l’anno prossimo un film in solitaria.
Va detto innanzitutto che proprio la superoina di Gal Gadot insieme al Batman/Bruce Wayne invecchiato e arrabbiato di Ben Affleck sono le cose migliori di una pellicola ipertrofica (due ore e mezza molto oscure a dispetto del titolo, una durata non strettamente necessaria), che compensa in spettacolarità qualche passo falso sulla trama e un’abbondanza di temi magniloquentemente dichiarati ma confusi. Se L’Uomo d’Acciaio si prendeva audacemente un bel po’ di tempo sul pianeta Krypton per assumere fino in fondo il punto di vista del suo protagonista alieno, qui Snyder opta per una prospettiva completamente umana e ha il coraggio (o l’impudenza, a seconda dei punti di vista) di rimettere in scena a distanza di poco più di un decennio gli eventi fondativi del personaggio di Batman (l’uccisione dei genitori, la scoperta della caverna dei pipistrelli) che Nolan aveva usato in modo mirabile in Batman Begins. Per farlo ha dalla sua uno degli sceneggiatori della trilogia di Nolan, David S. Goyer, ma a dirla tutta sono più la convinzione e l’energia di Ben Affleck a rendere torreggiante il pipistrello di Gotham City che una scrittura non sempre a fuoco.
Quelli tra lui e Jeremy Irons nei panni di Alfred (qui assai più che un maggiordomo) sono tra i dialoghi meglio riusciti della pellicola, anche perché si permettono un umorismo altrove pressoché assente in una pellicola seriosa e spesso molto pessimista. Protettivo e saggio, Alfred è senz’altro una spalla che si sarebbe voluto vedere di più, mentre Lois Lane è tanto presente sullo schermo quando piuttosto banale nella reiterazione del suo personaggio. Batman è un (super)uomo invecchiato nella lotta che è diventato nichilista ma non riesce a fare a meno di continuare a combattere come se fosse un riflesso condizionato. La sua diffidenza nei confronti di Superman nasce tanto dal terribile imprinting della distruzione causata dalla titanica lotta tra kryptoniani del film precedente (che qui si rivede in una potente sequenza dove Superman e i suoi avversari restano quasi fuori campo, ma comunque catastrofici) quanto da una pessimistica considerazione del potere, condivisa per altro dal malefico Lex Luthor e da una battagliera senatrice del Kentucky.
Superman, dalla sua, ha da fare i conti con un’inquietante devozione planetaria ma anche con le contestazioni da parte di opinione pubblica e governo sul suo operato impossibile da controllare e dirigere (questa della gestione dei supereroi è questione che affronterà presto anche la Marvel con il terzo episodio di Capitan America). La sequenza che lo vede comparire per risponderne al Campidoglio è, volutamente, una delle più surreali della pellicola. È evidente e a volte anche un po’ didascalico il tentativo di cavalcare l’attualità tra proteste pubbliche, terrorismo, scandali internazionali e inchieste governative; anche se Snyder non abbandona, anzi rinforza ulteriormente anche sul piano iconografico, le abbondanti analogie cristologiche per l’Uomo d’Acciaio, supereroe sacrificale e sofferente. Quel che accomuna i due protagonisti è un passato di lutti e perdite di cui è difficile liberarsi anche se pure qui il riferimento ai legami famigliari si fa talora davvero troppo pedestre per non scatenare un’improbabile risata. La trama qua e là si inceppa e lo scontro tra supereroi pilotato da Lex Luthor alla fin fine rischia di essere un grande quiproquo (e l’ironia di Wonder Woman inevitabile).
Il lato più carente, a parere di chi scrive sono gli antagonisti: Doomsday è sostanzialmente un bruto inarrestabile (tra le molte citazioni fumettistiche e cinefile non manca King Kong) mentre il Lex Luthor capelluto di Jesse Eisenberg si muove tra Zuckeberg e il Joker, citando Nabokov e la morte di Dio, ma spesso risultando più petulante che temibile. Costruito per lanciare una franchise, Batman v Superman riesce sostanzialmente nello scopo: frullando elementi visivi e narrativi dei fumetti per fare contenti i puristi e puntando a lasciare a bocca aperta i nuovi adepti a suon di colonna sonora martellante, scazzottate interplanetarie e un po’ di filosofia e di politica a gettare fumo sull’operazione come Batman in combattimento.
Laura Cotta Ramosino