Phaim (Phaim Bhuiyan) è italiano. Al cento per cento. I suoi genitori sono bengalesi. Al cento per cento. Vive a Torpignattara, la Banglatown romana. Esile, accento romanissimo, Phaim ha 22 anni, una sorella più grande, studentessa e desiderosa di sposarsi, una madre “ingombrante” e un padre passivo e sorridente, come lo sono anche i negozianti che  vendono tutto a pochi euro. Suona in una band multietnica, con tanto di vocalist dalla voce perfetta, ha amici perlopiù bengalesi. Ma ha anche un amico romano, un pusher che incontra a Villa De Santis, di fronte alla scultura di luna verde che sovrasta il parco. Durante il giorno Phaim lavora in un museo di arte contemporanea, ha imparato le giuste frasi per i turisti distratti («No pictures, please», «Please, keep the distance»). E poi, sogna e immagina. Lo fa spesso, soprattutto quando pensa a una futura ragazza. Solo che lui è musulmano e la religione ha un precetto chiaro non legato a vivande e a cibi proibiti, come lo sono l’alcool e il maiale: la castità prematrimoniale obbligatoria. Che fare quindi se accade, e a Phaim accade inaspettatamente una sera per caso, di innamorarsi di Asia (Carlotta Antonelli) un’italiana stravagante, che studia Statistica, ed è figlia di una omosessuale e di un padre precario chitarrista e attore?

Commedia leggera, fresca, variopinta, Bangla ha tutto il sapore di un film senza alti obiettivi: la voice over di Bhuiyan invade quasi tutta la storia, accelera l’empatia con lo spettatore, ci spiega quello che il protagonista pensa e vive. Non affronta certo tematiche inedite: gli italiani di seconda generazione, l’amore tra musulmani e italiani, le tradizioni familiari, la fluidità relazionale, i social come via iniziale di comunicazione, gli smartphone e gli audio di WhatsApp. A renderla diversa dalle altre commedie scritte da italiani per italiani è la scrittura “giovane” di Phaim (con l’aiuto di Vanessa Picciarelli), la direzione creativa di Emanuele Scaringi (filmmaker esordiente con La profezia dell’armadillo e sceneggiatore anche di film come Diaz), la regia e interpretazione (da protagonista) dello stesso Phaim Bhuiyan (diplomato a Roma allo Ied – Istituto Europeo di Design con la passione della macchina fotografica e dei video, alcuni recuperabili su Youtube). Non è certo Nanni Moretti, come è stato da alcuni definito Phiam Bhuyan, dimenticando (suggeriamo una visione per opportuno confronto) il non replicabile Ecce Bombo, sempre rivoluzionario, ironico, che non conosce epoca o modello di riferimento. Non ha quella profondità, quello sguardo, quella forza creativa e dirompente, quelle battute fulminanti che si ricorderanno per sempre («Che lavoro fai?»…«Concretamente, come campi», con la celeberrima risposta della ragazza: «Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose… »). Certo lo sguardo di Bangla è puro perché è quello di un ragazzo non costruito, non artificiale, che vede e osserva la nostra società, indulgente con gli anziani, sferzante con gli hipster che non hanno soldi ma non si perdono gli aperitivi “di lavoro”. Puro, ma forse esageratamente semplicistico.

Emanuela Genovese