Novembre 2008. Un commando di 10 terroristi pakistani attacca diversi obiettivi a Mumbai, il più importante dei quali è il Taj Hotel, dove soggiornano molti stranieri. Le storie drammatiche di ospiti e personale si intrecciano nel disperato tentativo di salvarsi.

Ispirato a fatti realmente accaduti, questo film si inserisce nel filone, purtroppo in crescita, delle pellicole dedicate alla rievocazione di attacchi terroristici e, per contrasto, delle gesta eroiche di chi si trova a vivere queste situazione, un po’ come nei recenti film dedicati agli attentati alla Maratona di Boston. Non sempre in questi casi è facile trovare la chiave giusta per presentare da una parte la più o meno cieca furia omicida degli attentatori (in questo caso una decina di ragazzi molto giovani guidati da una voce – il loro reclutatore/addestratore pakistano) e dall’altra le vittime della violenza che cercano una via di fuga e i cui destini si intrecciano dando a ognuno un diverso finale.
Qui lo sguardo della regia si sofferma da una parte su una coppia mista (lei indiana musulmana di una famiglia facoltosa, lui americano di bell’aspetto) con bimbo e baby sitter al seguito, su uno sfacciato uomo d’affari (che per un festino in una delle stanze del lussuoso albergo ordina con la stessa indifferenza vino e donne), su due fidanzati americani, ma soprattutto sul personale dell’albergo (in evidenza un cameriere e lo chef), che dimostrerà grande coraggio nella difesa degli ospiti.
Sulla carta ci sono gli ingredienti per un film dal ritmo incalzante con notevoli momenti di pathos, nella realtà non si riesce ad affezionarsi mai ai personaggi (se non forse al cameriere interpretato dal bravo Dev Patel) e quindi anche il grado di coinvolgimento nel loro dramma è ridotto. Certamente proviamo orrore di fronte alle spietate esecuzioni da parte dei giovani terroristi (e poca comprensione per il loro indottrinamento e la manipolazione a cui loro stessi sono sottoposti da parte del reclutatore, che se ne sta al sicuro dietro le quinte), ma manca la capacità di costruire una progressione nelle vicende, o forse sappiamo troppo poco dei personaggi per “goderci” le loro diverse reazioni e così la vicenda si svolge sotto i nostri occhi senza scarti verso un finale a dire il vero un po’ anticlimatico.
Una pellicola, dunque, non brutta, ma che nel benemerito tentativo di celebrare l’eroismo semplice dei dipendenti dell’albergo (per cui l’ospite è sacro non solo quando fa richieste impossibili, ma soprattutto quando è in pericolo di vita), fallisce l’obiettivo di creare su questa storia vera un’autentica partecipazione.

Luisa Cotta Ramosino