Mediocre blockbuster fracassone e dai molti momenti inverosimili. È il settimo film di Antoine Fuqua, il regista afroamericano salito alla ribalta con il duro poliziesco Training Day e protagonista di una carriera diseguale fatta più di bassi (L'ultima alba, Shooter) che alti (il sottovalutato Brooklyn's Finest). Ci sono delle cose interessante in questo Attacco al potere: innanzitutto il titolo italiano, come sempre non furbissimo (l'originale è Olympus has fallen), richiama involontariamente un altro film fracassone e di soggetto terroristico datato 1998. Era Attacco al potere di Edward Zwick con la coppia Denzel Washington e Annette Bening come protagonisti; film non irresistibile ma, come talvolta capita anche nei film meno riusciti, spaventosamente profetico. Nella cornice classica del thriller fantapolitico tanti elementi allora frutto dell'immaginazione degli sceneggiatori diventeranno realtà: New York sotto scacco per attentati terroristici di matrice islamica, autobus che esplodono, edifici che crollano. Tratto inquietante presente anche nel film di Fuqua, che furbescamente non tira in ballo cellule islamiche ma mette al centro della narrazione i nordcoreani e i loro propositi di fare a pezzi il mondo. Fantapolitica che, con evidenza, si nutre di suggestioni e inquietudini ben radicate sul suolo americano e non. Il film inizia bene: Aaron Eckart e Ashley Judd, rispettivamente Presidente degli Stati Uniti e First Lady, sono in viaggio con la scorta quando una tempesta di neve sorprende la lunga colonna composta dall'ammiraglia presidenziale e auto della scorta. Succede qualcosa e a intervenire ci sarà Gerard Butler, guardia del corpo e amico fidato del Presidente. Ma questo è solo l'inizio. La tensione e il senso di ineluttabilità che riesce a trasmettere allo spettatore la regia di Fuqua in queste prime, felici, sequenze non vengono ahinoi mantenute nel prosieguo della narrazione densa di inverosimiglianza in tanti snodi narrativi (dall'entrata in scena di Morgan Freeman alla costruzione del personaggio di Butler che sa tutto, persino combinazioni della cassaforta nella Stanza Ovale). Fuqua guarda allo schema del tostissimo Trappola di cristallo e cerca di ripeterlo: un uomo solo, mezzo ferito e poco armato chiuso assieme a dei terroristi che hanno preso in ostaggio il Paese, ma non riesce nel miracolo del film di John McTiernan. E non tanto per la mancanza di physique du rôle del protagonista che è efficace, non troppo spaccone e ha anche una certa dose di carisma, ma per problemi di sceneggiatura, ritmo e regia. La coppia di sceneggiatori composta da Chreighton Rothernberg e Kathryn Benedikt, entrambi al primo film, lavora male sui personaggi buoni e cattivi, tagliati tutti con l'accetta e senza un briciolo di personalità; disseminano di cliché la narrazione (la Mitchell, moglie del protagonista che soccorre il Paese nei panni di una dottoressa, lo stesso Presidente eroico e senza dubbi, Freeman nei panni di un Obama attempato, i cattivissimi coreani senza pietà ma anche senza intelligenza) e appesantiscono il film con tanta retorica. Si respira insomma l'aria di un Air Force One con una differenza sostanziale: che almeno nel film di Petersen, dove il Presidente in persona spaccava la faccia a tutta una serie di terroristi dirottatori, c'erano Harrison Ford e una discreta azione nella carlinga. Qui Fuqua mostra invece i muscoli con sprezzo della verosimiglianza (l'improbabile sequenza dell'attacco aereo) e compensa la mancanza quasi totale di suspense con proiettili, esplosioni, botte da orbi. Manco una briciola del crudo realismo, la sua vera cifra stilistica, che ben si sarebbe accompagnato a un film che parla del qui e dell'ora, degli attentati nel cuore degli Usa, dei Nordcoreani atomici e dello spettro, sempre presente, dell'integralismo islamico.,Simone Fortunato

Attacco al potere
Una cellula terroristica attacca la Casa Bianca. Sarà lotta all'ultimo sangue.