L’inizio del film lascia ben sperare: sulle note di “Once in a Lifetime”, una delle canzoni più note dei Talking Heads che prende di mira gli aspetti materiali del sogno americano, Alan Clay (Tom Hanks) elenca le cose perdute, mentre queste scompaiono in uno sbuffo colorato: la casa, l’automobile, la moglie, il lavoro e così via. Tom Tykwer (Lola corre, Profumo, The International) attacca con un bel ritmo un film che idealmente potrebbe concludere una trilogia nella quale Tom Hanks (dopo Captain Phillips e Il ponte delle spie), incarna l’uomo comune americano in un paese straniero, alle prese con difficoltà all’apparenza insormontabili.
Alan Clay ha alle spalle un divorzio pesante e una storia professionale che ancora gli viene rinfacciata: ha spostato in Cina la produzione di uno storico marchio di biciclette americano, chiudendo la fabbrica e causandone il fallimento. I limiti di Clay lo inseguono e vengono enfatizzati dal suo soggiorno in Arabia, dove con lo staff aziendale dovrebbe incontrare il Re per presentare un nuovo modello di telecomunicazioni. Ma il continuo rinvio della presentazione (il Re è sempre altrove), incastrano il protagonista in una routine in cui le azioni si ripetono quotidianamente senza senso. Tutti i giorni Clay non sente la sveglia, si alza in ritardo, perde la navetta per il palazzo nel deserto (pomposamente chiamato “la metropoli dell’economia e del commercio”) dove si deve tenere l’incontro, “affitta” un guidatore locale (che parla inglese perché ha studiato in America), arriva alla tenda dell’incontro per sentirsi dire che non funziona il wi-fi, che l’aria condizionata si è fermata, che il Re non verrà. Questa sorta di Aspettando Godot diventa il punto centrale del film, occasionalmente variato dalle bevute clandestine di superalcolici in un paese dove è ufficialmente vietato, da un’addetta commerciale danese in vena di avventure sessuali, da visite alla casa avita dell’autista passando per La Mecca, ma soprattutto dall’incontro con una dottoressa che sembra comprendere il povero Clay meglio di tanti altri.
Tratto da un racconto di Dave Eggers, il film sembra insabbiarsi però come il suo protagonista e girare a vuoto in azioni senza senso che lasciano lo spettatore senza appigli: un’Arabia descritta come un luogo dai costumi bizzarri per il viaggiatore occidentale, storie d’amore ai limiti del verosimile, incontri con personaggi folkloristici. Se c’è un film che viene in mente guardando Aspettando il Re, è Il pescatore di sogni di Lasse Hallstrom, la storia di uno sceicco che vuole impiantare la pesca sportiva di salmoni nel deserto dello Yemen: stesse pretese assurde, stesso risultato fallimentare.
Beppe Musicco