Il giovane soldato Kane (Oscar Isaac) torna a casa dopo un anno di silenzio da una missione misteriosa che lo ha cambiato nel profondo. La moglie, Lena (Natalie Portman), ex soldatessa e biologa,è decisa a scoprire che cosa sia successo al marito; si farà allora risucchiare in un vortice di segreti che gravitano attorno ad una realtà chiamata Shimmer (o Area X), generatasi a causa di un meteorite caduto sulla Terra nei pressi di un faro qualche mese prima. Una sorta di bolla di una strana materia atmosferica ingloba questo spazio intorno al faro, e la sua veloce espansione minaccia l’incolumità del pianeta; Lena decide di unirsi ad un’ultima missione esplorativa tutta al femminile all’interno di questo luogo, per conoscere i misteri che lo hanno originato e per trovare qualcosa che possa aiutare l’amato marito a sopravvivere. Una volta dentro, la realtà che le scienziate incontreranno le spingerà oltre i limiti della comprensione umana, in un viaggio dentro il paradosso della scienza e della propria umanità.
C’è una fantascienza filosofica ed esistenziale che si sta riaffacciando alla settima arte negli ultimi anni. Quel tipo di fantascienza che non si vuole accontentare di apocalissi terrestri e incontri ravvicinati con entità aliene più o meno ostili, ma che cerca di scavare nell’essenza dell’essere umano indirizzandosi verso realtà misteriose e rivelatrici allo stesso tempo; se avevamo già intrapreso questo arduo sentiero con Interstellar e proseguito con Arrival, Annientamento (in esclusiva Netflix) segna un’altra tappa vittoriosa nella scommessa per un intrattenimento intelligente.
Il talentuoso regista Alex Garland ci aveva già viziato qualche anno fa con il suo buon Ex Machina, pellicola di fredda eleganza sul rapporto perturbante tra l’uomo e la macchina come presenza inglobante e divorante. Una superficie parimente raffinata ci cala invece qui nelle profondità pulsanti dell’animo umano, osservato nell’evoluzione di un rapporto amoroso che sconfinerà in prove e realtà ai limiti della comprensione umana. Nella biologia di questo luogo extra-terrestre in cui i protagonisti sono catapultati, nel corpo e nella loro mente ogni cosa è un organismo in perenne metamorfosi, che soffre e cambia nel tempo per trovare equilibrio e adattarsi alle condizioni a cui è costretto; un’atmosfera viva ingloba l’ambiente e rifrange ogni segnale, compreso quello del DNA umano, mutando le forme e le psicologie dei personaggi che cercano di sopravvivere anche a se stessi. Il disorientamento annientante dei protagonisti è infatti soprattutto proiezione dei drammi che vivono nella loro vita; storie di dolori insopportabili li stanno mutando dall’interno, spingendoli, in un atto di autodistruzione – forse suicidale? – ad avventurarsi in qualcosa che gli avrebbe permesso magari una rinascita. E allora più si entra dentro questa realtà e più si scava dentro la storia della protagonista, luogo oscuro e affascinante almeno quanto quel microcosmo che si sta esplorando. Una bravissima Natalie Portman ci guida dunque in un’avventura soprattutto esistenziale, quasi una sorta di percorso di formazione compiuto in mezzo a minacce di animali mutanti, terrificanti apparizioni ben costruite e qualche momento splatter: il ritmo è serrato e coinvolgente e sfrutta in maniera intelligente anche in quegli espedienti già visti, ricreati in omaggio ai cult del genere, da La cosa di John Carpenter all’Alien di Ridley Scott.
Il punto di arrivo di Lena e dell’intera parabola narrativa riesce poi a concretizzare tutti gli spunti di riflessione che hanno caratterizzato la storia: niente scontri epici da finale sci-fi, niente lotte tra un cattivo che soccombe e un buono che trionfa sull’intruso. Ogni elemento canonico del genere fa da eco alla più interessante idea di una quotidiana lotta che l’uomo intraprende per mantenere l’integrità del proprio animo, in opposizione a una natura, tutta umana, che non sempre ci permette di essere ciò che vorremmo per chi è al nostro fianco.
Maria Letizia Cilea