È un curioso documentario Anne FrankVite Parallele, che rievoca la figura della ragazza nata 90 anni fa e morta a 15 anni a Bergen-Belsen attraverso la forma del “docu-film”; ovvero un misto di documentario e finzione, che in altri casi a volte si rivela un azzardo artistico, se non un vero pasticcio. In questo caso siamo introdotti alla sua storia dalle pagine del suo celeberrimo diario – conosciuto da milioni di lettori in tutto il mondo – letto da Helen Mirren. Dalle parole di Anne interpretate con passione dalla grande attrice (sarebbe stata meglio la lingua originale, ma il film si rivolge anche a bambini e ragazzi) derivano tutti i fatti vissuti dalla ragazza diventata un simbolo della violenza ma anche della resistenza alla barbarie, i suoi sentimenti, le sue paure e pure un’incoercibile positività e amore alla vita («tutto questo finirà, la pace tornerà nel mondo»); riflessioni – affidate a Kitty, un’amica immaginaria – che ancora commuovono a distanza di oltre settant’anni.

In Anne FrankVite Parallele la sua storia si intreccia con quella di cinque sopravvissute all’Olocausto, bambine e adolescenti come lei (ad Auschwitz furono portati 230mila bambini e ragazzi: ne tornarono solo 700): Arianna Szörenyi, Sarah Lichtsztejn-Montard, Helga Weiss e le sorelle Andra e Tatiana Bucci, che raccontano le loro vite immerse nella violenza, e a un passo dal destino di morte di genitori, parenti, amici. E che ci feriscono con alcune affermazioni: «Per tanti anni i sopravvissuti hanno taciuto, per la vergogna e la paura di non essere creduti».

Sono molte le “idee” cinematografiche che arricchiscono un’opera già significativa per le testimonianze, e molto documentata, ma anche interessante per alcune scelte espressive. Se quella di Helen Mirren, attrice di grande sensibilità, è già un’ottima scelta, non di meno lo sono certe scenografie come la camera del rifugio segreto di Amsterdam (in cui Anne rimase nascosta per oltre due anni) ricostruita nei minimi dettagli dagli scenografi del Piccolo Teatro di Milano, una ricostruzione ambientale che ci immerge in quel drammatico frangente storico e nella sua stanza, con gli oggetti della sua vita, come fotografie e quaderni. Ma forse l’idea più intelligente – che inizialmente spiazza e sembra solo “furba” – è Katerine, una ragazza (interpretata dalla giovane Martina Gatti), che viaggia per l’Europa nei luoghi di Anne e delle superstiti della Shoah: una giovanissima, praticamente poco più che una coteanea di Anne, che fotografa e scriva sul suo smartphone, usando tutti i linguaggi della modernità (foto, sms e soprattutto post sui social, con tanto di hashtag) per “fermare” le impressioni e le emozioni su quello che vede, scopre, impara («da dove trovava la sua forza? Io ce l’avrei fatta?»); dal campo di concentramento di Bergen-Belsen in Germania (dove Anne e sua sorella Margot muoiono) al Memoriale della Shoah di Parigi, fino alla visita nel rifugio segreto nella capitale olandese. Una sorta di diario digitale capace di parlare ai suoi coetanei, mettendo in relazione le tragedie passate con il presente e ponendosi con forza contro ogni forma di razzismo e antisemitismo; un diario tenuto da una teenager che fa da ponte con la sua lontana “progenitrice” e cui è affidato il testimone della sua esperienza. Come lo sono le scolaresche portate nei campi di sterminio, introdotte ancora da alcuni dei superstiti intervistati (e stendiamo un velo pietoso su chi contesta tali viaggi scolastici). Anche dalla curiosità della ragazza col piercing, dalla sua voglia di non restare indifferente, emerge la contemporaneità delle parole di Anne Frank; come pure dalle voci dei superstiti che hanno l’ansia che quanto sia avvenuto non venga dimenticato; e la rabbia nel verificare vecchi e nuovi negazionismi.

Proprio per questo, tra i valori del film – pure abbastanza breve per la mole di informazioni e immagini che propone – ci sono tra le altre anche le voci di storici come Michael Berenbaum, docente di studi giudaici in diverse università americane, dello storico della Shoah Marcello Pezzetti, direttore del nascente Museo della Shoah di Roma (che tra le altre cose racconta la farsa delle attività “culturali” dei campi, con tanto di film celebrativo o di visite organizzate dei prigionieri alla Croce Rossa «che avallò tale mistificazione»), dell’etnopsicologa francese Nathalie Zajde, delle testimoni Doris Grozdanovicova e Fanny Hochbaum, della violinista Francesca Dego, di Yves Kugelmann giornalista e membro dell’Anne Frank Fonds (fondata a Basilea nel 1963 da Otto Frank), mentre l’aspetto emotivo della vicenda è affidato anche alla colonna sonora di Lele Marchitelli. Ma l’emozione più grande è quella di vedere Anne: proprio lei, in un breve e straordinario documento filmato. Una scena di vita quotidiana (si affaccia dalla finestra del palazzo per vedere un uomo e una donna che escono per andare a sposarsi), in cui la vediamo per pochi secondi, sorridente. E che riesce, più ancora delle parole, a commuovere e a conquistare uno spazio nel nostro cuore.

Antonio Autieri

Elenco sale proiezioni sabato 23 novembre 2019: http://www.nexodigital.it/annefrank-vite-parallele/