Secondo film del regista Arthur Penn (deceduto nel 2010) dopo Furia Selvaggia. Penn prese spunto da un lavoro teatrale di William Gibson, portato sulle scene a Broadway nel 1959 e replicato per due anni, mettendo mano di nuovo ad una biografia, questa volta altamente drammatica e resa ancor più intensa dalla pellicola in bianco e nero. Fin dai primi fotogrammi, con la scena delle lenzuola, del vagare a vuoto e dell’addobbo natalizio che silenziosamente cade a terra e si spacca, viene posto il dramma della grave disabilità, l’impossibilità della comunicazione e la condizione di isolamento della piccola Helen Keller, interpretata con grande bravura da una Patty Duke sedicenne (cui fu conferito il primo Oscar a un interprete minorenne). Helen è la figlia di mezzo di una famiglia benestante americana. Il padre (Victor Jory), che si fa chiamare capitano anche dalla moglie, è in bilico tra le pretese dell’autorità paterna e le concessioni al quieto vivere, alla rinuncia. La madre invece (interpretata da Inga Swenson) vive il tormento dell’impotenza dell’amore materno che vorrebbe trovare – invano – rimedi alla disabilità della figlia. Unico sollievo per la donna è la presenza dell’ultimo figlio, neonato, che porta un po’ di gioia nella casa. C’è poi un fratellastro, James (Andrew Prine all’inizio della sua carriera), figlio di prime nozze del padre, presenza schietta e rude, unico in famiglia a comprendere quale sia il vero male della sorellastra.
Quando dall’istituto arriva la governante Annie Sullivan la situazione è disperata: alla disabilità della figlia che ha appena raggiunto l’età scolare, i genitori hanno aggiunto un fardello fatto d’incoerenza educativa, di permissivismo e di una falsa pietà che cede ad ogni capriccio della piccola. Annie (per questo ruolo Anne Bancroft, doppiata in italiano da Anna Proclemer, ha meritato un Oscar), poco più che ventenne e al suo primo incarico, con un carattere ribelle e un passato doloroso che riaffiora dagli sfocati ma efficaci flashback e che accomuna le due antagoniste, intuisce all’istante che la sua allieva è molto intelligente. Non si lascia quindi abbattere dalle evidenti difficoltà e dalle prese di posizione dei genitori, che hanno lasciato Helen in balìa dei suoi istinti. La scelta di isolarla da padre e madre sarà drastica quanto efficace. E usando poi la lingua dei segni e il tatto, nonché la memoria, riuscirà a tirarla fuori da un’esistenza di buio e di caos.
Un film-capolavoro, sull’educazione e in assoluto. Col suo ritmo a volte impetuoso a volte lento, Anna dei Miracoli aiuta a entrare nella mente e nel cuore dei personaggi di questa incredibile storia vera. Attraverso la semplicità e la profondità delle scene, dove niente è lasciato al caso, Arthur Penn accompagna lo spettatore a sondare il mistero della coscienza di sé, della conoscenza e dell’amore, come se il mondo nascesse di nuovo ora.
Lorella Franchetti