Joshua è un ragazzo sui diciotto anni, seduto sul divano di casa, accanto alla madre dormiente. Passano pochi secondi e capiamo che la donna è in realtà appena deceduta per overdose d’eroina. Nessun piagnisteo, sembra un fantasma importante per nessuno. Joshua chiama così la nonna che lo accoglie in casa sua. Una gabbia di criminali, un regno d’animali appunto, governato dallo zio Cody “The Pope” e popolato dai cugini. Un mondo di altri fantasmi, di uomini senza vita, persi nella droga e nell’omicidio; esseri in cui si intravede appena ancora un relitto d’umanità, che emerge solamente nel pianto per il compagno ucciso e nella paura per una pistola puntata alla tempia. Joshua rifiuta quella vita ma è al tempo stesso incapace di fuggire; si affiderà alla giovane compagna Nicky, l’unica in grado di provargli un po’ d’amore. A tendergli la mano vi è anche il poliziotto Leckie, agente a capo dell’inchiesta contro quella folle famiglia. Ma tutto questo non basterà a salvare l’innocenza di Joshua.
Non si pensi a un vero gangster movie: The Animal Kingdom è la narrazione di un dramma criminale con poca, pochissima azione e dialoghi sofisticati, che fa aborrire quel mondo di uomini senza speranza. Il regista e sceneggiatore David Michod, al suo primo lungometraggio, porta qui a sintesi la sua esperienza ventennale di reporter d’inchiesta a Melbourne. Arriva così a descriverci il sistema criminale come incarnazione del puro darwinismo, dove gli animali evolvono secondo la legge del più forte e dove l’ambiente risucchia l’umanità dei nuovi arrivati istigandone gli istinti. Una visione efficace, con uno stile originale e ben incarnata da un pugno d’attori, governati dall’esordiente James Frecheville nel ruolo di Joshua e da un risorto Guy Pearce nelle vesti del poliziotto Leckie. Una narrazione che scorre senza particolari colpi di scena e che, se da una parte rischia di spiazzare lo spettatore, dall’altro ne stimola il sentimento di pietà che si troverà a provare per questi animali che una volta erano uomini.
Andrea Puglia
