Terzo film del concorso alla Mostra del Cinema in corso al Lido di Venezia (29 agosto-8 settembre) è Roma del messicano Alfonso Cuaròn (I figli degli uomini, premio Oscar per Gravity), un’altra produzione Netflix; non c’entra nulla la Capitale, Roma è qui un quartiere di Città del Messico. Cuaròn scrive, dirige, monta e fa da direttore della fotografia (tutto benissimo!) per il suo film più ambizioso, completo e complesso, un melodramma familiare al femminile ambientato a Roma, un quartiere di Città del Messico negli anni 70. In una famiglia borghese che si sgretola davanti a un’imminente separazione, la cameriera e tata dei figli rimane incinta di un ragazzo che non vuole il figlio, mentre la città sta per essere sconvolta da rivolte politiche. Stilisticamente diverso dagli altri film del regista, in bianco e nero, ancora con piani sequenza (ma anche sequenze di montaggio) ma a camera fissa o al massimo carrelli laterali, eppure molto coerente a livello tematico, il punto è ancora la maternità, il fragile equilibrio tra vita e morte e la famiglia, raccontato in modo duro ed evidentemente sentito e personale ma aperto ad una positività che commuove in più punti. Incredibile anche il comparto scenografico, degno di un grande kolossal storico. Probabilmente un capolavoro. (Riccardo Copreni)

Cosa che non è sicuramente The Favourite, dal regista greco – ormai “adottato” in Gran Bretagna – Yorgos Lanthimos, con protagoniste Emma Stone e Rachel Weisz a metà tra il film in costume e la farsa storica; è la storia di una cortigiana, la favorita della regina Anna (Olivia Colman) che si vede sostituita dalla cugina di ceto inferiore. Se all’inzio la farsa in costume con intrighi di palazzo e un triangolo curioso può anche divertire, dopo un po’ ci si rende conto che oltre a quell’intrigo non c’è altro e nella seconda ora diventa solo fastidioso. A irritare lo spettatore è il modo freddo e formalistico con cui il regista racconta la storia, da cui traspare il totale disinteresse per i propri personaggi trattati solo come volgari (e di volgarità ce ne sono fin troppe) marionette. E se, come già detto, all’inizio lo spettacolo di marionette può anche divertire, dopo un po’ stanca e il misto tra cinismo e nichilismo di riporto diventa solo stucchevole. Discutibilissimo il “vezzo stilistico” dell’inquadratura con cui si chiude il film. (Ric.Cop)

C’era grande attesa per The Other Side of the Wind, film “postumo” di Orson Welles, mai terminato dal grande regista scomparso nel 1985 e ultimato dopo decenni grazie all’intervento produttivo di nuovi finanziatori tra cui Netflix e del lavoro di Peter Bogdanovich, amico e allievo di Welles, sugli appunti lasciati dal maestro. Si tratta, visto oggi, di un divertissement per addetti ai lavori o nostalgici degli anni 70, senza molto capo né coda. Ma a tratti fa simpatia, per l’anarchia totale e per il rivedere facce come il vecchio John Huston, regista che ogni tanta si metteva dall’altra parte della macchina da presa. Qui sembra un alter ego di Welles nei panni di un regista che non riesce a concludere il film che sta girando – di cui si mostrano ampi spezzoni alla sua festa di compleanno ad attori, tecnici e amici veri o presunti – per la fuga dal set del suo protagonista. Molte chiacchiere, tantissimi personaggi (tra i principali lo stesso Bogdanovich) che non rimangono mai impressi, qualche momento divertente o curioso e un generale senso di inutilità se non come reperto archeologico o documentaristico. In un ideale museo su Welles, un piccolo spazio se lo potrebbe ritagliare (già in una retrospettiva non ce lo vedremmo bene…). (Antonio Autieri)

Infine, una parola The Great Buster, documentario nella sezione Venezia Classici diretto proprio da Peter Bogdanovich che ripercorre la vita e le opere del grande comico statunitense Buster Keaton. Bogdanovich – critico e saggista oltre che regista – sa raccontare il cinema come pochi altri e in questo lavoro si appoggia alle interviste fatte ad altri comici contemporanei, da Mel Brooks a Carl Reiner e Johnny Knoxville (Jackass). Il film è molto semplice, ma anche incredibilmente efficace, diverte (anche parecchio), insegna molto sulla storia del cinema e commuove addirittura. Per appassionati e non. (Ric.Cop)