Alle porte di Napoli migliaia di fedeli si recano al Santuario della Madonna dell’Arco per chiedere un miracolo. All’interno di questa policromia umana s’intrecciano tre storie di donne accomunate dal bisogno e da una fede determinante per la propria esistenza.
I tre profili selezionati dalla regista Alessandra Celesia in mezzo alla folla di fedeli che ogni anno accompagna la processione alla cosiddetta “madonna ferita” vivono una disperazione esistenziale e materiale che è quella degli ultimi della società. Tra gesti plateali e personaggi più o meno pittoreschi la regista indugia a lungo su questa componente popolare, che nella semplicità della propria vita affida le proprie sofferenze alla speranza di una salvezza spirituale e miracolosa. Lo sguardo della camera non è però volto a ironizzare né a giudicare i soggetti su cui si sofferma: ciò che interessa è semplicemente fotografarne la quotidianità, spesso ai limiti dell’indigenza, nella quale la fede nelle sue sfumature – di esperienza o di illusione – nonostante tutto sopravvive.
La varietà policroma fotografata in Anatomia del miracolo viene però incasellata dalla regista all’interno di uno schema rigido e ripetitivo: la narrazione delle tre drammatiche storie si cala in un mondo tipicamente napoletano giocato tutto sul cliché un po’ retorico e un po’ furbo dell’umanità perduta. Primissimi piani sui volti e minute descrizioni di dialoghi e gesti quotidiani danno un’immagine affettata del contesto e della vita dei protagonisti, accompagnati peraltro dai soliti scorci sulle indubbie bellezze della città e dagli “scugnizzi” che scorrazzano per le vie più malfamate di Napoli.
L’intera costruzione ha interamente il sapore del déjà vu, ad eccezione della figura di Giusy, antropologa incatenata a una sedia a rotelle fin dalla nascita, che porta in gioco le problematicità di una fede messa alla prova dal dolore da una domanda di senso stringente: le sue domande riescono in qualche modo ad essere le nostre, la sua esperienza di fede, vera e spontanea nella sua testimonianza, riesce a dare un più ampio respiro a quel tono un po’ ricattatorio e sentimentale su cui tutta la cronaca di vita dei protagonisti è stata impostata.
Maria Letizia Cilea