Corre l’anno 1962: gli Stati Uniti si avvicinano al trauma del Vietnam e quattro ragazzi a quello, più piccolo ma non meno sentito, della fine dell’adolescenza. Il paragone non è casuale, diversi sono nel film gli accostamenti (espliciti o meno) tra l’inizio del college e la partenza per una guerra. American Graffiti, infatti, non è (solo) una pellicola adolescenziale: l’apparente spensieratezza dei personaggi e degli avvenimenti che li vedono protagonisti – gare automobilistiche, giovani amori, piccole trasgressioni – cela un’inquietudine di fondo che coincide non solo con il sofferto passaggio all’età adulta, ma anche con la perdita delle illusioni da parte di un’intera generazione. Di qui la vena malinconica che percorre l’intero film a partire dalle prime scene, con le esitazioni di Curt (Dreyfuss) a lasciare la città dove è cresciuto; le incomprensioni tra Steve (Howard) e la fidanzata Laurie (Williams) circa il loro futuro come coppia dopo la partenza di lui; le riflessioni di John (Le Mat) e Terry (Smith), diversi ma entrambi in qualche modo prigionieri dell’immagine che gli altri hanno di loro. ,La colonna sonora, costituita da ben 44 canzoni provenienti da dischi degli anni Sessanta, accompagna le vicende pressoché ininterrottamente, quasi recitando insieme agli attori con la funzione di un moderno coro greco, com’era nelle intenzioni del regista. La musica agisce da fil rouge e commento anche nella forma personificata del dj Lupo Solitario (in originale Wolfman Jack, personaggio reale), la cui voce radiofonica fa da sottofondo alla maggior parte del film: figura mitica per i personaggi, rappresenta la vanità e insieme il fascino delle promesse di un’epoca ormai prossima alla fine. Altro personaggio denso di simbolismi è la misteriosa donna bionda avvistata per strada da uno dei protagonisti, Curt, e da lui ricercata ossessivamente quasi a giustificare il proprio indugio a partire l’indomani per il college. ,Fortemente voluto dal regista George Lucas, anche sceneggiatore insieme a Gloria Katz e Willard Huyck, American Graffiti ha trionfato contro i dubbi della Universal, che non credeva nella riuscita di un prodotto tanto insolito (per la narrazione a incastro, l’uso delle musiche, i toni da commedia nostalgica) e fu disposta a finanziarlo solo grazie alla raccomandazione di Francis Ford Coppola. Enorme successo al botteghino, il film non ha vinto neanche un Oscar nonostante cinque candidature; in compenso ha ricevuto altri premi di diverso genere, tra cui due Golden Globes. American Graffiti è stato anche il trampolino di lancio per alcuni giovani attori di talento: Richard Dreyfuss, qui nel suo primo ruolo importante, Ron Howard, che solo l’anno dopo sarebbe diventato famoso come il Richie Cunningham di Happy Days, e Harrison Ford, convinto da Lucas a tornare a recitare dopo una parentesi come falegname.,Maria Triberti

American Graffiti
La lunga notte di un gruppo di ragazzi che ha appena finito il liceo, tra sogni, speranze e paure.