Melodramma di e alla Ferzan Ozpetek. Il che vuol dire: ampi e fluidi movimenti di macchina da presa, colonna sonora onnipresente, parecchi clichè, forti contrasti tematici, attori convincenti. Elementi tutti che si ritrovano in Allacciate le cinture, melodramma a tinte forti e anche rischioso in alcuni momenti quando entra di scena ad esempio la malattia ma allo stesso tempo debole e non privo di cadute, banalità e situazioni inefficaci. La sequenza iniziale la dice lunga sul film con cui avremo a che fare. Mentre la pioggia battente cade, la macchina da presa con un lungo e morbido carrello corre ad altezza suolo e inquadra, in un ralenti ben gestito dal regista turco, piedi di gente che corre e cammina. Non si capisce dove siamo, che tipo di azione stiamo vedendo. Viene per un attimo pure da preoccuparsi. Un incidente? Perché tutti corrono? Cosa è successo? E invece non succede nulla. Una buona preparazione che fa leva sulle suggestioni e forse anche sulle paure inconsce per chiudersi però in una presentazione molto piatta dei personaggi, come lo spettatore avrà modo di vedere. Ecco: il cinema del regista italoturco è, nei suoi film più deboli, soprattutto questo: una discreta e a volte buona tecnica non supportata da un adeguato lavoro sui personaggi o sulla narrazione. In Allacciate le cinture la cosa è macroscopica. Da un lato infatti convince la prova di Kasia Smutniak, alle prese con un ruolo difficile che affronta con maturità e notevole adesione alla causa ma anche tanta parte del cast funziona bene, da Paola Minaccioni in un ruolo piccolo ma assai intenso alla coppia formata da Carla Signoris e Elena Sofia Ricci a fare quasi da coro per la vicenda. Dall'altro i dolori sono tutti nella definizione dei personaggi maschili: Filippo Scicchitano, nei panni dell'amico gay della protagonista, è un personaggio troppo programmatico per colpire davvero. E poi Francesco Arca, personaggio televisivo, al primo importante ruolo cinematografico dopo prodotti tipo Incantesimo e Le tre rose di Eva, avrà pure il fisico e i lineamenti duri e spigolosi del proletario, almeno secondo l'immaginario collettivo, ma fa molta fatica sul piano della recitazione specie nelle numerose sequenze con la Smutniak (con una bella eccezione: la sua reazione scomposta ma reale davanti al dramma della moglie). Altre cose che convincono poco: personaggi minori poco approfonditi (Francesco Scianna, le stesse Crescentini e Michelini, una Luisa Ranieri, sopra le righe e ridotta a poco più di una comparsa), salti narrativi troppo facili come l'ellissi temporale, troppo ampia, piazzata poco dopo l'incontro tra Smutniak e Arca e un paio di scivoloni che rischiano la risata involontaria: il machismo esibito al bar da Arca e soprattutto, l'enfatica e inopportuna scena d'amore in ospedale. ,Vizi e difetti anche gravi, dettati più che altro da una sceneggiatura poco equilibrata – firmata da Gianni Romoli assieme al regista – che banalizza in più momenti e attraverso strumenti ovvi (la metafora risaputa del mare calmo e poi in tempesta), il cuore della vicenda che è l'aspetto più interessante. Ovvero, un amore puro e disinteressato di lei per questo marito che ha tanto da farsi perdonare, ruvido, ignorante e selvatico eppure colpito dalla donna e dal suo abbraccio tenace che forse è la risposta più grande alla malattia e ai tanti errori. La Smutniak, cioè, ripercorre la stessa dinamica affettiva di altri personaggi femminili di Ozpetek: la Buy, la Mezzogiorno e la Bobulova nei più riusciti Le fate ignoranti, La finestra di fronte e Cuore sacro. Con tutti i limiti, anche ideologici (con la presenza non sempre pertinente del tema dell'omosessualità, come a voler rivendicare una scelta di campo), questo regista prosegue nel raccontare con serietà un percorso all'insegna dell'affettività e all'amore, un amore puro e sconfinato che passa sempre attraverso una crisi (all'interno della coppia come ne La finestra di fronte), la morte (come ne Le fate ignoranti) o esistenziale tout court (Cuore sacro) ma che, alla prova del dolore, rivela una sua intrinseca bellezza che produce tanti piccoli e grandi cambiamenti nelle persone. Un amore che genera tanto e che a sua volta vive di riflesso: come dice la Michelini alla Smutniak. “Tu sei fortunata. Sei diversa dagli altri pazienti, perché non sei sola, sei circondata da persone che ti vogliono bene”. Una bella intuizione, bella davvero perché innanzitutto vera, che darà la svolta definitiva alla narrazione.,Simone Fortunato,

Allacciate le cinture
La storia d'amore tra la cameriera di un bar e un meccanico.