Mentre Venezia 77 e la Mostra del Cinema (in programma dal 2 al 12 settembre) si avvicinano alla conclusione, i nostri inviati al Lido continuano a produrre recensioni di film del concorso ufficiale e di altre sezioni.

Emma Dante, regista e drammaturga palermitana, presenta in concorso il lungometraggio Le sorelle Macaluso, tratto dalla sua omonima pièce teatrale. Maria, Pinuccia, Lia, Katia e Antonella sono cinque orfane che vivono in un vecchio appartamento di Palermo, dove si mantengono allevando colombi. Un evento traumatico segnerà per sempre le loro esistenze, raccontate nei tre momenti distinti dell’infanzia, dell’età adulta e della vecchiaia. Le tre età della vita sono scandite dal passaggio di testimone fra attrici diverse, quasi tutte esordienti (Eleonora De Luca è anche in Padrenostro). Le sorelle sono le esclusive protagoniste del film, dove vengono messi in disparte gli altri rapporti, estranei alla famiglia: i legami affettivi e con i genitori defunti sono praticamente assenti.

Il dramma della Dante ha il pregio di cercare un contrappunto visivo per le ferite delle Macaluso, ma rischia forse di perdere la carica vitale del teatro. Se le immagini poetiche danno vita agli oggetti e allo spazio attraverso gli anni, lo stesso non si può dire dei personaggi, quasi condannati a una fissità nel tempo. Le cinque sorelle appaiono così intrappolate nella loro stessa esistenza, tra corpi e palazzi in progressivo abbandono, prigioniere sia dei ricordi traumatici che di quelli felici. (Roberta Breda)

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Sempre in concorso, arriva da Oriente Wife of a Spy. Alla vigilia dell’ingresso del Giappone nella II Guerra Mondiale, Yusaku Fukuhara, un commerciante di Kobe che lavora abitualmente con i paesi occidentali e l’America, decide di far uscire dal paese le testimonianze sulle atrocità commesse dai giapponesi nel territorio cinese della Manciuria, da loro invaso.  Sua moglie Satoko lo scopre e decide di aiutarlo: insieme cercheranno di espatriare, nonostante un capo del controspionaggio, amico di famiglia, inizi a sospettare di loro.

Il film di Kiyoshi Kurosawa rende con precisione il clima di crescente tensione del paese del Sol Levante dopo l’alleanza con Italia e Germania e poco prima dell’attacco a Pearl Harbour, attraverso la crisi di coscienza di un uomo più incline al cosmopolitismo che al nazionalismo imperante del tempo.  Anche se con qualche lungaggine e una costruzione molto formale, il film ricorda un melodramma nella descrizione dei rapporti tra il marito e la moglie (che inizialmente sospetta che il tradimento sia sentimentale) e soprattutto il sentimento di devozione della donna, disposta al sacrificio pur di salvare l’uomo che ama. (Beppe Musicco)

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Recuperiamo oggi uno dei film passati nei primi giorni della Mostra, fuori concorso nella sezione autonoma Giornate degli autori: EstDittatura Last Minute di Antonio Pisu. 1989: alla vigilia della caduta del Muro di Berlino tre amici ventenni partono da Cesena per una vacanza “avventurosa” nell’Europa dell’Est; c’è ancora l’impero sovietico, ma sembra agli sgoccioli, e un po’ di incertezza accentua il lato intrigante. Ma a Budapest i tre ragazzi conoscono un rumeno, in fuga dalla dittatura di Ceausescu, che chiede di portare di nascosto nel suo Paese una valigia per la moglie e la figlioletta. Impauriti e controvoglia, i tre si cacceranno nei guai senza capire bene cosa succede in un Paese dove la Polizia segreta spia e controlla tutto. Ma, poco a poco, apriranno gli occhi su quei luoghi miseri dove le facce sono spaventate e non si ha voglia di sorridere, incontrando persone che li conquisteranno.

Film dalla narrazione esile, che ne ricorda altri già visti (per esempio l’esordio di Roan Johnson, I primi della lista), Est ha dalla sua buoni sentimenti e tre giovani attori spigliati e freschi (Jacopo Costantini, Matteo Gatta e Lodo Guenzi, cantante del gruppo Lo Stato Sociale), meno l’accumulo di gag a volte modeste, episodi non originalissimi (compresa la passione all’Est per “Felicità” di Albano e Romina) e dialoghi un po’ poveri. Funziona invece il mix con le immagini di repertorio del 1989, in un periodo che cambiò davvero l’Europa: perché la storia dei tre ragazzi romagnoli è vera, come si vede sui titoli di coda. Alla fine, forse anche per questo, il film fa anche una certa simpatia (Antonio Autierida Milano)