Di corti ce ne sono tante. Ma quella di Ruth è speciale. Perché è la Corte Suprema degli Stati Uniti, quella stessa corte dove ha accesso, come seconda donna in assoluto, Ruth Bader Ginsburg cui è dedicato Alla corte di Ruth – RBG (RBG è il titolo originale), distribuito in sala da Wanted e Feltrinelli Real Cinema, un documentario diretto da due donne, Betsy West e Julie Cohen. Un film (con due nomination all’Oscar nella categoria del miglior documentario e della migliore canzone originale e realizzato dopo il film di finzione Una giusta causa con Felicity Jones e Armie Hammer) che, se pur convenzionale nella forma delle interviste, è ricco di materiale, anche inedito, d’archivio, documenti d’epoca e filmati di repertorio.

Ruth oggi ha 86 anni e gli ultimi 60 li ha esercitati come giudice, moglie e madre. Per entrare nella corte di Ruth occorre entrare nella sua infanzia che ha inizio a New York nel 1933. Una donna che dagli stessi genitori (una coppia di ebrei fuggiti dalla Russia) impara il costo insostituibile della fatica (si laurea alla Columbia University di New York nel 1959), e inizia a far prevalere il (suo) genio femminile in un mondo maschile che reputa gli uomini più intelligenti delle donne. Affascinante ed elegante nei modi, paziente e riflessiva, Ruth, senza ricorrere a marce (gli anni Sessanta erano gli anni in cui i neri dovevano battersi contro le discriminazioni per il colore della pelle e i movimenti femministi lottavano per l’uguaglianza di genere), ha esercitato un ruolo importante nella costruzione di un vero Stato di diritto a favore degli esclusi, donne e uomini che siano.

Aveva compreso che l’accesso negato alle donne, dalla biblioteca universitaria prima e alle porte degli studi newyorkesi poi, non doveva avere il sopravvento nella società americana di metà Novecento; e che bisogna intraprendere la lotta all’esclusione nell’assunzione delle donne. Avvocati ce n’erano tanti, ma evidentemente mancavano bravi avvocati donne. E per arrivare a rendere ciò un valore degno di una società moderna, Ruth doveva compiere, attraverso la gentilezza, lo studio e la saggezza (che aveva imparato dalla madre scomparsa prematuramente, ma anche dal sostegno e dalla pacatezza del marito, suo fedele compagno), un passo dopo l’altro. «Il criterio sessuale stigmatizza, quando è usato per impedire alle donne di competere per i lavori più remunerativi o le promozioni», dirà nella sua prima arringa. E se il primo caso era chiaramente un caso di discriminazione femminile, il secondo diventa uno strumento importante per affermare l’incostituzionalità della discriminazione di genere. Fu provvidenziale per Ruth Bader Ginsburg, infatti, la difesa di Stephen C. Wiensefeld, padre di Jason rimasto vedovo, al quale era stato negato il sussidio parentale, previsto solo per le donne.

Instancabile lavoratrice, amante dell’opera lirica e dello sport, Ruth Bader Ginsburg dimostra ancora oggi come il mondo non si cambia se non si parte dalla forza delle proprie idee, dal coraggio della costanza e dall’ascolto dell’altro anche se i limiti possono rappresentare un ostacolo alle nostre battaglie.

Emanuela Genovese